Ricordo che nel 1973, quando visitai l’India per la prima volta, allorché giunse il tempo del ritorno - durante l’attesa della nave Andrea Doria, veterana della marina passeggeri che compiva il suo ultimo viaggio prima del disarmo - restai a Bombay per un paio di mesi facendo la vita dello sderenato (o sadhu, monaco itinerante o mendicante se preferite). Ero già stato toccato dallo Spirito e non potevo far altro che aspettare che “quella cosa” di cui sapevo essere l’espressione prendesse definitivamente possesso di me. Un’attesa senza speranza si chiama, poiché se c’è speranza non è attesa è solo aspettativa. Mi capitò un giorno di incontrare delle belle ragazze italiane che andavano vagando per ristorantini a spettegolare. Erano tre, come le tre Grazie, e le avvicinai dolcemente ma cosa strana non rimasero affatto affascinate dalla mia persona… Dovete sapere che in un modo o nell’altro le donne sempre mi amano, non con questo che esse mi trovino particolarmente attraente dal punto di vista sessuale, semplicemente mi vogliono bene e mi ascoltano con interesse… Sono un affabulatore ed anche come “cercatore spirituale” –malgrado vivessi in totale astinenza- di solito ottenevo un buon successo. No, quelle tre avevano solo pensieri per Osho, continuavano a parlare di lui come tre innamorate del loro amante, rivelavano tutti i loro giochi amorosi ed i loro desideri nei suoi confronti. Insomma debbo dire che mi sentii un po’ geloso e quasi quasi mi venne l’idea di andare a sfidarlo in casa, quell’Osho, lì a Poona nel suo ashram che si trova a pochi chilometri da Bombay. Fortunatamente per me mi beccai, a forza di frequentare ristorantini sfiziosi, una bella epatite virale A e dovetti perciò rinunciare alle mie velleità e restare in catalessi nell’albergaccio in cui aspettavo “l’evento” (non sapevo nemmeno io bene cosa, qualsiasi cosa o nulla). Ebbene riuscii a scamparla, allora, tornai in Italia, e poi ancora numerose volte in India e non pensai più di andare da Osho. Ma i discepoli di Osho continuarono a perseguitarmi ed a cercarmi in tutti i modi, me li trovavo davanti ovunque, sia che andassi a Tiruvannamalai, a Jillellamudi od a Ganeshpuri, sia che restassi a Roma a fare il “santo” in via Emanuele Filiberto oppure che entrassi nel vortice alternativo di Calcata con tutte le sue tentazioni e devianze. Questi discepoli di Osho erano e sono i miei amici più simpatici ed affini, sono completamente pazzi ed inaffidabili. “Qualis pater talis filius” dice l’adagio, e mai come in questo caso è vero. Osho stesso fu un’esagerazione in tutti i sensi. Guru Maharaji si faceva 12 Rolls Royce? Ed Osho 120… Muktananda fondava qualche Ashram in giro per il mondo? Ed Osho fondava addirittura una nuova Città-Stato (nell’Oregon). Il successore di Bhaktivedanta rinunciava al sannyasa e si sposava con una sua devota? E la segretaria di Osho, molti dicono anche amante, scappava con tutti i soldi della cassa. Osho quando parlava era una macchinetta infernale inarrestabile, oppure taceva per anni di fila. Prima aveva parlato bene di tutte le religioni, facendo un discorso sincretico, poi finì per dire che tutte le religioni sono finte. All’inizio si pose come Guru ed infine negò di avere qualsiasi discepolo. I suoi seguaci poveretti subirono un bel lavaggio del cervello e coloro che resistettero – probabilmente- ne uscirono fuori veramente sanati dalla malattia del divenire e dell’apparire. Non sta a me giudicare comunque la condizione di questi miei fratelli, sapendo che ognuno di noi ha il suo destino e le sue pene… Avrei voluto qui scrivere alcuni pensieri di Osho, almeno per finire in bellezza, ma ora non ne sono più capace… (consapevole della futilità del gesto), riprendo però una storiella taoista (o sufi-zen-cristiana- maomettana-buddista, che importanza ha..?) che lui usò per significare l’indifferenza verso gli eventi ed il non lasciarsi prendere dal vortice del giudizio, delle presupposizioni e delle aspettative. La storia narra di un vecchio contadino a cui era scappato il cavallo. Quella sera i suoi vicini andarono trovarlo per consolarlo della malasorte, egli disse soltanto “..può darsi..”. Il giorno dopo il cavallo ritornò nella stalla portandosi appresso 6 bellissimi stalloni selvaggi, al che i vicini tornarono per felicitarsi della sua buona sorte, ed egli disse “.. può darsi..”. Il giorno seguente suo figlio mentre cercava di domare uno dei puledri selvaggi fu gettato a terra e si spezzò una gamba. Di nuovo i vicini tornarono per consolarlo della sua sfortuna. Ed egli disse “..può darsi..”. Il giorno appresso giunsero nel villaggio degli ufficiali dell’imperatore in cerca di giovani da arruolare nell’esercito, ma il figlio del contadino –a causa della gamba rotta- fu scartato. Quando i vicini tornarono per dirgli –dopo tutto- com’era stato fortunato, egli si limitò ancora una volta a dire ” …può darsi..”. La storia ovviamente continua e continuerà ancora…. Ma non ve la racconto tutta per lasciare un po’ di suspence! Paolo D’Arpini
Tradizioni diverse, unica visione del mondo. Fare politica senza una visione spirituale della vita non è che un vano agitarsi. L’esempio di Khomeyni.
Si narra che ogni qual volta impartiva una lezione di etica a Qom, nel 1930, l’Imam Khomeyni terminasse sempre con la seguente frase estratta dal Munajat Sha’banyyah, una supplica unica che veniva recitata dai dodici Imam (A): “O Dio! Concedimi totale distacco da tutto quello che non sei Tu e avvicinami a Te; illumina la visione dei nostri cuori con la luce che sorge nel guardarTi, affinché possiamo attraversare i veli di luce e raggiungere la Fonte della Magnificenza, e i nostri spiriti siano elevati con lo splendore della Tua Santità.”
L’Imam Khomeyni prestò sempre grande importanza allo studio e alla recitazione delle invocazioni degli Imam dell’Ahl ul-Bayt (A) come mezzo per raggiungere l’intuizione spirituale così come preghiera al Creatore, ma quest’invocazione tratta dal “Munajat Sha’banyyah” sembra esser stata particolarmente vicina al suo cuore. Essa, infatti, appare nei testi e nei discorsi appartenenti alle differenti fasi della sua vita: nel commento ad un hadīth dell’Imam Ja’far as-Sadiq (A) riguardante “l’incontro con Allah” (liqa’ul-Lah), contenuto in Sharh-e Chehel Hadīth” (La spiegazione di quarantaAhādīth), un’opera terminata nel 1939; in una delle sue opere concernenti le dimensioni interiori della Preghiera, “Miraj as-Salikin”, completata nello stesso anno; nel “Jihadul Akbar ya Mubarez-e be Nafs” (1), una lezione sulla purificazione etica tenuta a Najaf nel 1972; nel discorso sull’esegesi della “Surat al-Fatiha” (2) che venne teletrasmesso nel Dicembre del 1979 e nel Gennaio del 1980; ed in “Rah-e ‘Eshq”, una lettera scritta dall’Imam a sua nuora, Fatima Tabataba’i, nel 1983. L’aspirazione ad “attraversare i veli di luce e raggiungere la Fonte della Magnificenza” può, pertanto, esser considerata come un elemento costante nella devota vita dell’Imam, e soltanto tenendola costantemente in considerazione, può esser compresa correttamente la totalità dei suoi sforzi e successi, incluso quello politico. Fu con uno sguardo fisso sulla “Fonte della Magnificenza”, un tipo di visione completamente differente da quello di un comune leader politico, che l’Imam guidò un vasto movimento rivoluzionario alla vittoria. L’integrità e completezza della personalità dell’Imam Khomeyni e la sua visione dell’Islam sono tali che le distinzioni analitiche tra le varie dimensioni risultano in qualche modo artificiali, riflettendo soltanto uno sforzo per comprendere l’Imam piuttosto che la sua realtà. E’ indubbiamente legittimo – o almeno inevitabile – parlare dell’aspetto gnostico (‘Irfānì) e politico della sua vita e delle sue attività, e accordare una certa preminenza al primo aspetto, non soltanto in termini cronologici ma anche di significato. L’Imam è generalmente considerato, tanto dagli occidentali quanto dai musulmani, come niente più che un leader rivoluzionario poco comune, mentre tutti quelli che lo conoscevano intimamente, così come chi ebbe modo di incontrarlo brevemente, possono testimoniare che possedeva una visione che trascendeva la politica, ed allo stesso tempo la dominava e l’abbracciava. E’ precisamente questa fusione del politico nello gnostico l’aspetto forse più distintivo della persona dell’Imam. Quanto alla preminenza cronologica della gnosi (‘Irfan) nella vita dell’Imam, questa è ampiamente dimostrata dalla storia dei suoi primi anni a Qom. Il suo obiettivo immediato nel recarvisi nel 1920 era senza dubbio quello di studiare con Shaykh ‘Abd al-Karim Ha’iri, una delle principali autorità in giurisprudenza dell’epoca, ed egli si distinse in quest’area essenziale dell’apprendimento islamico molto prima di emergere come Marja’ at-Taqlid (3), agli inizi degli anni ‘60. Ma a Qom egli sviluppò rapidamente un interesse nell’‘Irfān e nelle discipline affini, cosa che lo mise in disparte da molti dei suoi contemporanei, ed era, di fatto, generalmente vista con sospetto e perfino ostilità; molti anni dopo ebbe occasione di rimarcare: “E’ spiacevole che alcuni degli ‘Ulamà debbano nutrire tali sospetti e privarsi dei benefici che si ottengono dallo studio dell’‘Irfān”. La sua prima guida nella ricerca dell’‘Irfān fu Mirza ‘Ali Akbar Yazdi (morto nel 1926), un discepolo di Husayn Sabzavari, che a sua volta aveva studiato presso Mulla Hadi Sabzavari (scomparso nel 1872), l’autore di “Shahr Mandzumah”, uno dei testi fondamentali dell’’Irfān; in questa maniera l’Imam divenne iniziato ad una delle linee principali dell’insegnamento e della trasmissione della gnosi sciita. Un’altra sua guida agli inizi fu Mirza Aga Jawad Maliki Tabrizi (scomparso nel 1924), che aveva insegnato a Qom dal 1911. Egli teneva due lezioni di filosofia ed etica, una pubblica nella Madrasa Faiziyeh e una privata nella propria casa, alla quale assistevano un numero di studenti scelti e preparati, tra i quali l’Imam. L’Imam Khomeyni studiò inoltre con Sayyid Abu al-Hasan Rafi’i Qazvini (scomparso nel 1975), del quale, fra i pochi libri pubblicati, figura un commento del “Du’ā’ al-Sahar” (La supplica dell’Alba), la stessa profonda invocazione alla quale l’Imam dedicò il suo primo lavoro,“Shahr Du’ā’ al-Sahar” (“Commento alla supplica dell’Alba”) (4); è pertanto possibile che l’attenzione dell’Imam sia stata attratta inizialmente da questo testo di Qazvini. Il principale maestro dell’Imam nell’’Irfan, ad ogni modo, fu l’Ayatullah Muhammad ‘Ali Shahabadi (scomparso nel 1950), a cui egli, nei propri scritti gnostici, si riferisce rispettosamente come “nostro maestro in teosofia” (5) (in persiano: ustade elahi-e ma). L’Imam incontrò Shahabadi immediatamente dopo l’arrivo di quest’ultimo a Qom (probabilmente nel 1920), e la risposta che ricevette ad una domanda sull’’Irfān lo convinse di trovarsi in presenza di un vero maestro. Dopo aver rifiutato inizialmente la richiesta dell’Imam di studiare presso di lui, Shahabadi accettò di insegnargli filosofia, ma era l’’Irfan che l’Imam cercava, e persistette finché Shahabadi accettò di istruirlo in questa disciplina. Tutti i Giovedì e Venerdì, così come nei giorni festivi, generalmente da solo, alcune volte in compagnia di uno o due altri studenti, l’Imam ascoltava le lezioni di Shahabadi sul commento di Dawud Qaysari (scomparso nel 1350) al “Fusus al-Hikam” di Ibn ‘Arabi (6); il “Miftah el-Ghayb” di Sadr al-Din Qunavi (scomparso nel 1274) e il “Manazil as-Sa’irin” di Khwaja ‘Abdullah Ansari (scomparso nel 1089). L’interesse dell’Imam verso questi testi, l’ultimo in particolare, si manifestò durante l’intero corso della sua vita. Nella misura in cui la fusione tra l’aspetto gnostico e quello politico dell’Imam poteva essere ricercata in un’altra fonte oltre a quella dell’illuminazione ed immersione nel Sacro Corano e negli insegnamenti dei Ma’sumin (i quattordici Infallibili), è un altro aspetto che può essere attribuito all’influenza che Shahabadi esercitò su di lui. Shahabadi fu uno dei relativamente pochi ‘Ulamà, nell’epoca di Reza Shah, ad alzare la propria voce contro i misfatti della dinastia Pahlavi. Egli predicava regolarmente contro il primo Pahlavi durante la commemorazione di ‘Ashura, e in un’occasione manifestò il proprio estremo dissenso entrando in un ritiro di undici mesi nel Santuario di Shah ‘Abdul Azim (mausoleo a sud di Tehran, n.d.t.). Un impegno simile con la sfera politica si manifestò in uno dei suoi scritti, “Shadharat al-Ma’arif”, una breve opera che è stata ben descritta come “tanto sociale quanto gnostica nel contenuto”. In essa Shahabadi analizza le cause della decadenza e dello scontento nella società musulmana, proponendo la diffusione dell’autentica conoscenza Islamica come mezzo per porre rimedio alla situazione e creare unità, e concludendo che sebbene la fondazione del governo Islamico perfetto è un compito riservato al Sahib az-Zaman [il dodicesimo Imam, n.d.t.] la dimensione politica dell’Islam, implicita in tutti i suoi ordinamenti giuridici, non poteva esser trascurata in nessuna maniera, perché “l’Islam è certamente una religione politica” (“Shadharat al-Ma’arif”, pag. 6-7). L’Imam iniziò la propria carriera di insegnante all’età di 27 anni, impartendo lezioni dihikmat, una disciplina particolarmente affine all’’Irfān, e poco tempo dopo organizzò sessioni private sullo stesso tema. Fu in queste sessioni che l’Imam istruì e ispirò alcuni dei suoi più vicini collaboratori, incluso, al di sopra di tutti, l’Ayatullah Morteza Motahhari, che l’Imam descrisse dopo il suo martirio, nel Maggio del 1979, come “la quintessenza del mio essere”. I testi insegnati a questa élite erano la sezione sull’anima (Nafs) dell’“Asfar al-Arba’ah” (I quattro viaggi spirituali) di Mulla Sadra e il “Sharh Mandzumah”. I temi gnostici e devozionali costituiscono inoltre l’oggetto di interesse delle prime opere dell’Imam. Nel 1928 egli scrisse un dettagliato commento sul “Du’ā’ al-Sahar”, l’invocazione recitata prima dell’alba durante il mese di Ramadan dall’Imam Muhammad al-Baqir (A). Questa opera fu seguita nel 1931 da “Misbah al-Hidayah ilal-Khilafah wa al-Wilayah” (“La Lanterna della Guida verso il Califfato e la Wilayah”) (7) una breve ma densa esposizione della realtà più intima del Profeta (S) e degli Imam che è ispirata non soltanto da una meditazione sugli Ahādīth dei Ma’sumin, ma anche dal concetto akbaridi Uomo Perfetto (al-Insan al-Kamil). Nel 1937 l’Imam completò una serie di annotazioni sul commento di Qaysari al Fusus al-Hikam e sul Misbah al-Uns, il commento di Hamzah ibn Fanari al “Miftah al-Ghayb” di Qunavi. Due anni dopo l’Imam terminò la sua prima opera in persiano, “Sharh-e Chahal Hadīth”, un commento voluminoso a quaranta Ahādīth di contenuto preminentemente etico e gnostico. Del 1939 è datato anche il “Mi’raj al-Salikin wa Salat al-‘Arifin” dell’Imam (conosciuto anche come “Sirr as-Salat”, “I Segreti della Preghiera”) (8), un dettagliato trattato in persiano sul significato esoterico di ogni parte della Preghiera, dall’abluzione che la precede fino al triplo takbir meritorio che la conclude. Più accessibile di questo denso e impegnativo lavoro è l’altro libro sullo stesso tema, “Adab as-Salat”, completato nel 1942. Menzioniamo infine il “Sharh-e Hadīth-e Junud-e ‘Aql wa Jahl” (“Commento all’Hadīth degli eserciti dell’intelletto e dell’ignoranza”), un’opera conclusa nel 1944, che è stata descritta come l’esposizione più completa e sistematica della visione dell’Imam sull’etica e la gnosi. In questa sede non è possibile né desiderabile fare una presentazione più completa del contributo dell’Imam alla disciplina dell’’Irfān oltre questa enumerazione; sarà sufficiente rimandare il lettore all’opera di Yahya Christian Bonaud: “L’Imam Khomeyni, un gnostique méconnu du XXe siecle” (Beirut, 1997) (9), un’eccellente opera tanto di sintesi quanto di analisi. Comunque, in relazione con la traiettoria della vita dell’Imam – la transizione dalla sua enfasi iniziale sull’‘Irfān fino al suo impegno successivo nella sfera politica – è imperativo notare che le sue opere gnostiche non sono un compendio o un ampliamento di opinioni e formulazioni ricevute, redatte in gioventù soltanto per esser dimenticate nella maturità; sono, invece, il frutto manifesto di una visione originale, potente e duratura. Come ha osservato Seyyed Ahmad Fihri, che aveva assistito ad alcune delle lezioni dell’Imam a Qom negli anni ‘30: “E’ evidente che egli [l’Imam] possedeva una conoscenza diretta di tutto ciò che ha scritto”. Per dirla in modo differente, le opere dell’Imam sull’’Irfān altro non furono se non l’iniziale espressione letteraria di un percorso di “suluk” (viaggio spirituale), in un continuo avanzamento verso la ripetutamente invocata “Fonte di Magnificenza”. Si può affermare che la guida da parte dell’Imam della Rivoluzione Islamica, e la successiva instaurazione della Repubblica Islamica dell’Iran, ha costituito, da un certo punto di vista, uno stadio successivo in questo processo di viaggio spirituale; i frutti della sua lotta interiore arrivarono alla fine a trascendere la sua persona ed a manifestarsi con effetto profondo nella sfera politica.
Questa caratterizzazione può esser giustificata con riferimento ai primi tre dei quattro viaggi che adornano tanto il tema quanto il titolo del “Al-Asfar al-Arba’ah” di Mulla Sadra, un’opera con la quale l’Imam aveva familiarizzato intimamente. Il primo è il viaggio dalla creazione alla Realtà Divina (min al-khalq ila al-haqq), un movimento dall’immersione nella molteplicità della creazione verso la consapevolezza esclusiva dell’unica realtà che è contigua con l’Essenza Divina. Il secondo viaggio avviene all’interno della Realtà Divina per mezzo della Realtà stessa (fi al-haqq bi al-haqq); esso consiste nella percezione delle perfezioni divine (kamalat) e di una serie di estinzioni nei Nomi Divini, seguite dalla sussistenza attraverso di essi. Il terzo viaggio è quello che riconduce dalla Realtà Divina alla creazione (min al-haqq ila al-khalq); in ogni caso però, esso non porta il viaggiatore spirituale al ritorno al suo punto di partenza, perché è un viaggio che si realizza per mezzo della Realtà Divina (bi al-haqq) ed ha come frutto la percezione dei misteri degli atti divini (af’al), nella misura in cui si schiudono nel mondo fenomenico. Se mi si perdona l’impertinenza nello speculare sul percorso spirituale dell’Imam, si può suggerire che il suo periodo di enfasi iniziale sull’’Irfān e le questioni ad esso collegati corrispondevano al primo e secondo viaggio descritti da Mulla Sadra, e che il suo coinvolgimento nella sfera politica e la sua guida della Rivoluzione Islamica erano analoghi al terzo viaggio spirituale. Ciò che è certo è che la singolare perspicacia mostrata dall’Imam nelle situazioni critiche, durante la Rivoluzione e i primi anni della Repubblica Islamica, non possono spiegarsi puramente in termini di astuzia politica; una visione chiara gli permise di vedere oltre la congiuntura immediata, e forse è permissibile descrivere questa capacità come una testimonianza dell’af’al nella misura in cui divennero manifesti nella sfera politica. Se questa raffigurazione è giustificabile, diventa evidente che l’Imam si astenne generalmente dall’attività politica pubblica fino al 1962, non soltanto perché non era disposto a contestare l’atteggiamento passivo dei sapienti più prominenti dell’epoca, ma anche perché era in corso un processo essenziale di preparazione interiore. Fu lo stesso progresso dell’Imam verso “la Fonte della Magnificenza” a renderlo capace di guidare una Rivoluzione che era come un suluk (viaggio spirituale) collettivo del popolo iraniano. Dopo quanto esposto, bisogna riconoscere che lo schema dei tre viaggi successivi possiede un inevitabile carattere metaforico, in cui la concretezza e accessibilità definita di una destinazione terrena mancano nell’inesplorata sfera del viaggio interiore. Inoltre, l’applicazione dello schema ad una particolare vita non implica una corrispondenza cronologicamente esatta con i distinti periodi. Non vi è dubbio, per questa ragione, del fatto che le tracce della consapevolezza e dell’interesse politico possono discernersi nella vita dell’Imam anche prima del suo emergere sulla scena nazionale nel 1962. Egli ebbe contatti con i sapienti che si opponevano alle varie politiche di Reza Shah, non soltanto con il suo maestro Shahabadi, ma anche con Hajj Aga Nurullah Isfahani e Mulla Husayn Fisharaki, che guidò una protesta a Isfahan contro l’obbligatorietà del servizio militare nel 1924; con l’Ayatullah Angaji e Mirza Sadiq Aga che guidarono un movimento simile a Tabriz nel 1928; con Agazade Kafa’i, che venne condotto a Tehran per esser processato dopo la rivolta di Mashad del 1935; e con Seyyed Hasan Modarresi, che l’Imam successivamente descrisse come “la guida di coloro che si sollevarono contro l’oppressione”. L’Imam, inoltre, toccò spesso questioni politiche nelle poesie che scriveva in quel periodo e che circolavano privatamente a Qom. Per esempio, quando nel 1928 Reza Shah abolì le capitolazioni che erano state concesse alle potenze straniere, cercando per questo di presentarsi come un autentico patriota, l’Imam rispose con un poema che includeva questo passo: “E’ vero che ora egli ha abolito ogni ‘capitolazione’, ma solo per nasconderti l’abolizione della nazione!”. In ogni caso, questo era il clima di quel periodo in Iran, al punto che anche una componente essenziale della spiritualità sciita come il “rouzekhoni” [la recitazione dei testi che commemorano il martirio dell’Imam Husayn – A] automaticamente assunse connotazioni politiche. In un’intervista concessa al sottoscritto nel Dicembre del 1979, l’Imam ricordava che le riunioni di “rouzekhoni” nelle quali egli partecipava a Qom durante la sua gioventù raramente avevano luogo, oltre al fatto che spesso vi si infiltravano informatori del governo, con il risultato che coloro che vi partecipavano venivano arrestati. Ancor meno graditi al regime Pahlavi di queste manifestazioni tradizionali di pietà, erano le lezioni pubbliche di etica che l’Imam tenne a Qom agli inizi degli anni ‘30 e, dopo un’interruzione, dal 1941 in poi. Basandosi anche sul “Manazil al-Sa’irin” di Ansari, uno dei testi che l’Imam aveva studiato con Shahabadi, queste lezioni servirono da veicolo per un’esposizione esaustiva dell’Islam come un tutto, incluse le sue dimensioni politiche. Seyyed Ahmad Fihri ricordava: “Considero il tempo che passai assistendo a quelle lezioni fra le ore più preziose della mia vita. Nei suoi discorsi l’Imam insegnava la vera etica Islamica, la quale non può separarsi dalla Rivoluzione, in modo tale da lasciare una profonda impressione in tutti quelli che vi assistevano”. Un’altra persona che ascoltò queste lezioni, l’Ayatullah Morteza Motahhari, gli attribuì “la formazione di una buona parte della mia personalità intellettuale e spirituale”. Non erano inoltre soltanto sapienti religiosi a partecipare alle lezioni; anche persone di differente estrazione giungevano da luoghi distanti come Tehran e Isfahan, sfidando il desiderio del regime Pahlavi di isolare l’istituzione religiosa di Qom dalla popolazione.
L’interconnessione dello gnostico e del dottrinale con il politico ed il confronto emerse inoltre chiaramente in “Kashf al-Asrar” che, apparso nel 1945, fu la prima opera pubblicata dell’Imam. Il libro è in primo luogo una risposta schiacciante a “Asrar-e Hezar Sale”, una polemica d’ispirazione Wahhabita contro molte delle principali dottrine della Shi’a; in questo libro l’Imam utilizzò un’ampia esposizione di argomenti razionali e scritturali, facendo ricorso anche alle grandi autorità dell’hikmat e dell’’Irfān, come Ibn Sina, Suhrawardi e Mulla Sadra. L’Imam denunciò inoltre la diffusione di opere quali “Asrar-e Hezar Sale” come una conseguenza delle politiche anti-religiose del regime Pahlavi, ed è in “Kashf al-Asrar” che l’Imam espone per la prima volta la dottrina del “governo del giurisperito” (Wilayat al-Faqih), che divenne il fondamento costituzionale della Repubblica Islamica. Nel Maggio del 1944, quasi nello stesso periodo in cui indicativamente iniziò a scrivere il “Kashf al-Asrar”, l’Imam lanciò quella che pare esser stata la sua prima proclamazione politica, facendo un appello all’azione per liberare i Musulmani dell’Iran e dell’intero mondo islamico dalla tirannia delle potenze straniere e dei loro lacché domestici; la copia autografa di questa proclamazione è capeggiata non soltanto dalla basmala ma anche dall’ingiunzione: “leggilo e mettilo in pratica”. L’Imam inizia, molto significativamente, citando il Sacro Corano: “Dì: «Ad una sola [cosa] vi esorto: sollevatevi per Dio, a coppie o singolarmente e riflettete»”. (Sura Sabā’, 34: 46) Questo è lo stesso versetto che apre il “Capitolo del Risveglio” (bab al-yaqza) all’inizio del “Manazil al-Sa’irin” di Ansari, la guida del viaggiatore spirituale amata dall’Imam sin da quando studiava con Shahabadi. “Sollevarsi per Dio” è un punto essenziale di partenza per il suluk (viaggio spirituale); Ansari lo definisce come: “Risvegliarsi dal sonno profondo della negligenza ed emergere dalla profonda apatia”. L’Imam similmente afferma che nel versetto in questione “Iddio Onnipotente ha esposto il progresso dell’uomo dalla sfera dell’oscurità della natura all’apice della vera umanità”, in modo tale che l’ordine in esso contenuto è “l’unica via di riforma in questo mondo”. Ma, immediatamente dopo aver offerto questa interpretazione etica e gnostica del versetto, l’Imam procede ad analizzare la deplorevole situazione del mondo islamico, attribuendola al fatto che tutti sono impegnati nel “sollevarsi per la causa delle loro anime concupiscenti” (qiyam baray-e nafs); è solo per mezzo del “sollevarsi per Dio” che le questioni possono esser rettificate. In questo modo, l’atto di “sollevarsi per Dio” diventa sia un atto di redenzione personale sia un impegno per cambiare e riformare la società islamica, un’insurrezione tanto contro la lassitudine spirituale e la negligenza presenti in se stessi quanto contro la corruzione, l’irreligiosità e la tirannia nel mondo. Non esiste probabilmente un’indicazione scritta più chiara dell’interconnessione dell’etico e dello gnostico con il politico nella visione del mondo dell’Imam di quest’interpretazione del significato di “sollevarsi per Dio”. Durante i successivi diciotto anni circa che trascorsero tra l’emissione di questa prima proclamazione e l’inizio della continua lotta pubblica contro il regime Pahlavi nell’autunno del 1962, sembra che l’Imam si dedicò principalmente ad insegnare “Fiqh” e “Usul” ed a scrivere autorevoli libri su queste discipline. E’ stato tuttavia già rilevato che, secondo l’Imam, l’’Irfān era in primo luogo una questione esistenziale, tale che la diversione delle sue energie letterarie e pedagogiche verso il Fiqh e l’Usul non può esser interpretata come se l’’Irfān fosse scomparso dagli orizzonti della sua vita interiore. Ciò è evidente; tanto più che anche i suoi insegnamenti di queste scienze exoteriche erano impregnati di aspetti gnostici e questo era un fattore che attraeva alle sue lezioni un numero singolare di studenti. Per citare ancora una volta Seyyed Ahmad Fihri, l’Imam fu capace “di dimostrare la conformità della Shari’ah con la logica dell’’Irfān così come la conformità dell’’Irfān con la logica della Shari’ah”. Inoltre i metodi d’insegnamento della Hawza [scuola teologica sciita] hanno sempre implicato la trasmissione allo studente più che l’apprendimento formale; un ethos completo ed una visione del mondo che passa da una generazione all’altra. Che l’Imam fosse particolarmente capace di trasmettere ai suoi studenti virtù e qualità spirituali essenziali, è evidente dalla testimonianza del martire Muhammad Jawad Bahonar, che disse: “L’Imam instillava in noi un senso di nobiltà spirituale, di responsabilità e impegno, di ricchezza spirituale ed intellettuale; le sue parole riecheggiavano nelle nostre menti per molti e molti giorni dopo che noi avevamo lasciato Qom per andare a predicare durante il mese di Ramadan.” L’Imam si dedicò in dettaglio a questo lavoro di formazione etica e spirituale dei suoi studenti nelle lezioni sul “Più grandeJihad”, la lotta contro le tentazioni della propria anima, che tenne a Najaf nel 1972. E’ degno di nota rilevare che queste lezioni si tennero dopo la famosa serie sul governo del giurisperito (10), e vennero giustamente pubblicate come loro supplemento. Poiché la fondazione di un governo islamico secondo l’Imam dipendeva, allo stesso tempo mirava, alla purificazione spirituale della società islamica e di coloro che sono chiamati a guidarlo, i sapienti religiosi (‘Ulamà); il successo nel “jihad minore”, la lotta contro le forze esterne ostili all’Islam, era indissolubilmente unita allo sforzo nel “jihad maggiore”. Sicuramente non è accidentale che il primo hadīth selezionato per il commento realizzato dall’Imam nel suo libro “Sharh-e Chahal Hadīth” (I quaranta Hadīth) fosse l’hadīth da dove questi due termini derivano, jihad maggiore e jihad minore: “Quando un gruppo di combattenti che il Profeta (S) aveva inviato al fronte ritornò, egli disse loro: “Benvenuto colui che ha compiuto il jihad minore; ora gli rimane da completare iljihad maggiore.” Essi chiesero: “O Messaggero di Dio! Quale è il jihad maggiore?”. Il Profeta rispose: “Il jihad contro sé stessi”. Nel suo commento a questo hadīth (11), l’Imam espone un conciso ma completo programma di combattimento interiore; il suo primo stadio è la riflessione (tafakkur) che è ordinata nel Sacro Corano, 33: 46, il versetto citato dall’Imam all’inizio della sua prima proclamazione politica. Le numerose direttive e proclami, riuniti in una raccolta di 22 volumi titolata “Sahife-ye Nur”, che l’Imam fece dapprima nel corso della lotta che lo portò alla fondazione della Repubblica Islamica e poi durante i primi dieci anni della sua esistenza, trattano necessariamente, primariamente e principalmente, dei problemi e delle crisi dell’epoca. Ad ogni modo, questi documenti contengono anche numerose allusioni ai temi gnostici ed etici, dimostrando una volta ancora l’inseparabilità dell’aspetto spirituale ed etico nella visione del mondo dell’Imam; un indice tematico di “Sahife-ye Nur” enumera più di 700 passaggi di varia lunghezza che trattano temi di ‘Irfān. Qui prenderemo in esame soltanto due esempi. Il 22 Dicembre del 1979, quando si rivolse al popolo di Qom, l’Imam descrisse il successo della Rivoluzione come dovuto al fatto che la gente dell’Iran aveva orientato se stessa verso la presenza divina, assumendo perciò un’“esistenza divina”. In seguito, dopo l’inizio dell’aggressione irachena nel Settembre del 1980, l’Imam ripetutamente disse, rispetto ai martiri, che essi erano andati verso “la contemplazione di Allah (liqa’ullah)”. Questa contemplazione, un tema di enorme importanza nell’’Irfān, era stato oggetto di un breve trattato scritto dall’Imam durante gli anni ‘30 e pubblicato come supplemento ad un’opera più ampia del suo maestro, Aqa Jawad Maliki Tabrizi, sullo stesso argomento. Egli tratta questo argomento in maniera più estesa nel suo libro “Sharh-e Chahal Hadīth”, dove chiarisce che il significato di liqa’ullah non è la conoscenza razionale globale dell’Essenza Divina, ma “una conoscenza gnostica presenziale, diretta, raggiunta dalla visione interiore” (ehaté dar ‘erfan-e shohudi va qadam-e basirat). Egli inoltre lo collega alla stessa supplica con la quale abbiamo iniziato questa discussione, e pertanto si può affermare che secondo l’Imam il martire era colui che per mezzo della propria morte penetrava “i veli di luce” per raggiungere “la Fonte della Magnificenza”. Probabilmente la dimostrazione pubblica più chiara del continuo attaccamento dell’Imam all’’Irfān ed anche la sua convinzione della permessibilità di trasmetterlo ad un uditorio più ampio possibile si ebbe con i discorsi televisivi sull’esegesi della Surat al-Fatihahnel Dicembre del 1979 e nel Gennaio del 1980. Questi discorsi vennero sospesi per varie ragioni, prima che l’Imam giungesse oltre i primi due versetti della Surah, ma anche nella loro forma incompleta sono un’esposizione eminente, chiara, eloquente ed accessibile di temi chiave dell’’Irfān, in particolare le modalità della manifestazione divina ed i significati dei Nomi Divini. Degni di nota sono inoltre gli agitati avvenimenti che l’Iran stava attraversando nel periodo in cui venivano tenuti questi discorsi: l’intensificarsi del confronto con gli USA che seguì l’ingresso del deposto Shah in America e l’occupazione dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Tehran da parte degli “Studenti seguaci della Linea dell’Imam”; la lotta per istituzionalizzare il nuovo ordine; vari complotti controrivoluzionari; e l’agitazione nelle forze armate. Era contro questo retroterra tumultuoso che l’Imam scelse, con la perfetta tranquillità che caratterizzava il suo comportamento, di tenere lezioni alla nazione iraniana sui temi chiave dell’’Irfān, che avrebbe potuto ritenere irrilevanti considerando i problemi urgenti di quel periodo. Per comprendere questa decisione, può essere appropriato ricordare un episodio della vita dell’Imam ‘Ali (A) al quale lo stesso Imam fa riferimento nelle lezioni sulla “Surah al-Fatihah”. Una volta, quando avanzava in battaglia contro Mu’awiyah, l’Imam ‘Ali (A) iniziò a tenere un discorso sul significato profondo del Tawhid (Unità e Unicità Divina). Uno dei suoi compagni gli chiese se il momento fosse opportuno per questo genere di discussioni. Egli rispose: “Questa è la ragione per la quale stiamo combattendo Mu’awiah, non per qualche beneficio mondano”. La conclusione che se ne trae è che è precisamente nel mezzo della lotta per la fondazione di un ordine Islamico che si possono evocare i significati più profondi delTawhid nella maniera più appropriata; lo gnostico ed il politico, l’’Irfān ed il Jihad, sono visti una volta ancora come un’unione indissolubile. L’interesse dell’Imam affinché la gnosi Islamica venisse conosciuta correttamente veniva espresso anche nella politica estera della Repubblica Islamica. In una lettera a Mikhail Gorbaciov, il leader dell’Unione Sovietica, datata 4 Gennaio 1988, l’Imam non soltanto predisse il collasso ed il totale discredito del Comunismo, con una previsione che superò quella dei cremlinologi convenzionali, ma avvertì anche contro il caos etico e spirituale nel quale è caduta ora la Russia post-Sovietica. Il problema essenziale che affrontava la Russia, affermò l’Imam, non era quello della proprietà, dell’amministrazione dell’economia o della libertà personale, ma l’assenza di una valida fede in Dio. Come contributo alla soluzione della situazione, l’Imam propose a Gorbaciov di inviare a Qom dei sapienti Sovietici per studiare, tra le altre cose, le opere di al-Farabi, Ibn Sina, Sohrawardi, Mulla Sadra e Ibn ‘Arabi. Una testimonianza eloquente e importante dell’essenziale natura dell’Imam quale gnostico di alto rango si trova contenuta inoltre in documenti più intimi, scritti verso la fine della sua vita: i poemi nei quali anticipava l’unione con l’Amato Divino a cui costantemente si era ispirato, e le lettere a suo figlio, il defunto Hajj Sayyid Ahmad Khomeyni (12), e a sua nuora, Fatima Tabataba’i. Sia i poemi che le lettere erano contrassegnati da un tono fortemente emotivo che li distingue dalle opere sull’’Irfān che aveva composto durante la prima fase della sua vita a Qom. Quanto al testamento politico (13), che fu reso pubblico dopo la morte dell’Imam il 3 Giugno del 1989, esso consiste principalmente in una serie di consigli rivolti ai vari ceti del popolo iraniano e avvertimenti riguardo ai problemi che avrebbero dovuto affrontare nel preservare la Repubblica Islamica. E’ pertanto facile respingere come un mero preliminare l’enfasi di apertura dell’Imam sull’hadīth Thaqalain, che è il testo fondamentale di tutto il pensiero Sciita, e trascurare il fatto che l’esordio contenga un riferimento al “Nome Teofanico” (al-ism al-musta’zar) di Dio. Il senso di questo termine, che rimanda ad una invocazione del Profeta (S), può forse esser riassunto come il Nome divino (o compendio di nomi) connesso con le qualità divine che non sono e mai saranno manifeste, “mantenute in segreto” nella conoscenza occulta di Dio concernente Egli stesso. Come ha suggerito l’Ayatullah Muhammadi Gilani, il riferimento fatto dall’Imam al “Nome Teofanico” all’inizio stesso del suo testamento, indica una volontà da parte sua ad esortare alla coltivazione dell’’Irfān, dopo la sua dipartita, come parte indispensabile della sua eredità. E’ nell’invocazione del “Nome Teofanico”, insieme con tutti i Nomi manifesti o capaci di manifestazione, che l’Imam discende, per così dire, nel corpo principale del suo testamento, al piano degli atti divini che è simultaneamente il piano della lotta socio-politica. Egli sottolinea quindi per l’ultima volta, sottilmente ma inequivocabilmente, il legame tra lo gnostico ed il politico che è stato il segno distintivo della sua vita e una misura della sua piena e creativa assimilazione della guida del Corano e dei Ma’sumin.
di Hamid Algar (www.islamshia.org) - Testo originale in inglese pubblicato da: “Al-Tawhid”, Giugno 2003, Edizione speciale dedicata all’Imam Khomeyni. Traduzione a cura dell’Associazione Islamica Imam Mahdi (AJ)
Note del Traduttore: 1) In italiano: “La più Grande Lotta”, Irfan Edizioni, 2008. 2) In italiano: “Commento al Corano (Sura della Lode)”, Centro Culturale Islamico Europeo, 1984. Una traduzione parziale dell’esegesi dell’Imam è apparsa anche suOriente Moderno, Nuova serie, Anno 1 (62), Nr. 1/12 (Gennaio-Dicembre 1982), pp. 103-128. 3) Il Marja Taqlid è un sapiente religioso competente che ha raggiunto il livello diijtihad, ossia è in grado di dedurre le leggi del fiqh (giurisprudenza islamica) dalle sue fonti autorevoli legittime, ed è riconosciuto come fonte di imitazione, dalle masse di credenti, in materia di diritto islamico. 4) Il testo integrale dell’’Invocazione dell’Alba (Du’ā’ As-Sahar) per il santo mese di Ramadan dell’Imam Baqir (A), con un estratto del commento dell’Imam Khomeyni, è disponibile sul nostro sito. 5) Parafrasando S.H. Nasr (“La vita, le dottrine ed il significato di Sadr al-Din al-Shirazi (Mulla Sadra)”) “per teosofia intendiamo quella saggezza che non è teologia né filosofia ma una forma di sapientia il cui ottenimento dipende dall’intuizione e illuminazione come compresi nel senso greco originale, non come viene utilizzato attualmente dai vari movimenti pseudo-spirituali.” 6) Una traduzione parziale dell’opera di Muhyiddin ibn ‘Arabi, basata su quella effettuata da T. Burckhardt, è stata pubblicata in italiano con il titolo “La Sapienza dei Profeti” (Ed. Mediterranee, Roma, 1987). 7) L’edizione in italiano di questa opera, a Iddio piacendo, è di prossima pubblicazione. 8) In italiano: Imam Khomeyni, “Sirr-u Salat (Il Segreto della Preghiera)”,Istituto per la Compilazione e la Pubblicazione delle opere dell’Imam Khomeyni, Iran, 2008. 9) La prima parte di questa opera è stata tradotta in italiano in Bonaud Y.C. “Uno gnostico sconosciuto del XX° secolo. Formazione e opere dell’Imam Khomeyni”, Il Cerchio, 2010. 10) In italiano: R. Khomeyni “Il governo islamico. O l’autorità spirituale del giureconsulto”, Il Cerchio, 2007. 11) La traduzione del commento a questo hadith è stata inserita, come appendice, all’opera “La più Grande Lotta”, Irfan Edizioni, 2008. 12) La traduzione in italiano di questa lettera dell’Imam è stata pubblicata, unitamente al saggio “Introduzione alla Gnosi (‘Irfan)” del martire M. Mutahhari, in “La Via Spirituale” (Semar, Roma, 2002). 13) Per la traduzione del “Testamento politico” dell’Imam Khomeyni in italiano, cfr. “La Vita, la Lotta, il Messaggio” (Centro Culturale Islamico Europeo, Roma, 1989).