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Abidjan - La scimmia ed il Kalaò



Dopo un mese ad Abidjan mi sembrava di aver conosciuto tutto della città, perlomeno nell’ambito dei rapporti e dei luoghi che mi erano consentiti. Chiacchierate attorno alla piscina dell’hotel più “in” (quello dove andavano i turisti americani) per stare a contatto con i ricchi, puntate nelle taverne plus africaine (in compagnia di prostitute e gente di malaffare), nottate passate in terrazze della città vecchia fra i tamburi che ripetono senza sosta il loro richiamo verso l’istinto, qualche festa o cena nella villa di qualche annoiato patron francaise e soprattutto permanenze pomeridiane al famoso Kalaò, il bar riferimento dei viaggiatori e della scenografia, una specie di Harris Bar in Costa d’Avorio.



Ero ospite di una signora francese che aveva sposato un alto funzionario africano e poi si era separata e viveva un po’ allo sbando ed un po’ nel finto decoro in una casa normale di Cocodì, il quartiere elegante di Abidjan. Con me c’era anche una piccola banda di giovani avventurosi e di belle speranze, giunti anch’essi ognuno per proprio conto alle porte dell’Africa Nera. Uno svizzero, due francesi ed un altro italiano, oltre ad un meticcio che era anche l’amante della donna. Ripagavamo l’ospitalità con qualche poulet e qualche bottiglia di birra. A quel punto tutte le avventure che si potevano vivere ad Abidjan mi sembravano già vissute, le brochettes avec piment erano state tutte assaggiate, i ristoranti visitati, le ragazze frequentate, non mancava nulla e sentivo veramente di averne abbastanza della solita solfa e delle solite cose di un’apparentemente eterna “vacanza”. Sentivo la necessità di qualcosa di vero. 




Decisi un bel giorno di andarmene in brousse, di andare in qualche villaggio sulla costa, star da solo per scoprire nuovi agganci nuovi rapporti nuove situazioni. Salutai gli amici del Kalaò e partii, non ricordo come, forse su un pullman forse facendo autostop. Giunsi in un posto che era abbastanza lontano dalla città, dove non c’erano bouvettes né turisti, solo l’oceano e qualche rado cottage. Gironzolavo attorno cercando un posto per piazzarmi e trascorrere il tempo in isolamento e riflessione. Percorrevo a piedi una strada che costeggiava l’oceano, sentivo il rumore forte dei flutti e delle onde, attorno a me alberi maestosi che mi riparavano dai cocenti raggi del sole. Ad un certo punto vidi in distanza una specie di tukul disabitato che stava a poca distanza dal mare, proseguii in quella direzione e scorsi, nascosta dalla vegetazione, una grande villa colonica di cui forse il tukul era una dependance, mi avvicinai all’ingresso per capire che aria tirava e proprio allora mi avvidi di una grossa scimmia che mi guardava. Era uno scimpanzé molto grande, alto all’incirca come me, muscoloso e sveglio. Mi sentivo un po’ a disagio ma osservando meglio scoprii che lo scimpanzé era legato ad una catena e capii che era stato messo lì di guardia per spaventare i passanti. 


Mi avvicinai ma restai a due passi dalla bestia, non aveva un’aria minacciosa, anzi mi ispirava molta pena. Pensate un animale così nobile ed intelligente costretto alla catena, davanti alla vastità della foresta e dell’oceano, solo per accontentare le esigenze di qualche riccone egoista. Rimasi per un bel po’ a fissare la scimmia ed anche lei mi guardava, sembrava che leggesse il mio sguardo. Sentii l’impulso di avvicinarmi ancora e restai in silenzio davanti a lei con rispetto e compassione, non osavo avvicinarmi di più, la paura dell’animalità me lo impediva, allungai una mano come per salutarla ed in quel preciso istante la scimmia repentinamente si allungò al massimo della lunghezza consentita della catena e mi abbracciò. 

Si, mi prese fra le sue braccia muscolose e pelose e mi strinse al suo petto con forza. Pensai di svenire, immobilizzato in quell’abbraccio, ma non urlai, non tentai di scappare, ero esterrefatto, fermo, non volevo offenderla o creare una situazione reattiva in lei. Un momento indimenticabile in braccio a King Kong….. Ad un certo punto, non so dopo quanto, la scimmia aprì le braccia e mi lasciò andare, indietreggiai di un passo, non fuggii, e continuai a guardarla per capire cosa mi avesse voluto dire. Mi accorsi allora che era una femmina.



Ormai era scesa la sera mi allontanai e mi sdraiai nella capanna, con il vento ed il mare che ululavano divertiti della mia angoscia, rimasi in un trepido ascolto. Ero così sconvolto, così stranito, che la notte non riuscii a chiudere occhio, quel tukul mi sembrava l’ingresso dell’ade, una voce inconscia mi diceva che dovevo lasciarmi andare alle forze oscure della natura, mi masturbai senza alcun piacere come se dovessi semplicemente compiere un dovere od un rito. L’indomani mattina presto ritornai sui miei passi, la scimmia non c’era più. Abbandonai ogni progetto di solitudine e riflessione e feci ritorno al Kalaò ed alla vita di Abidjan.

Ma non durò ancora a lungo….

Paolo D’Arpini



Il segreto della spiritualità laica... e la naturale predisposizione della mente


Ognuno ha i propri segreti, esperienze che si tengono celate per non offuscare l’immagine di sé, oppure per evitare che ci siano dei fraintendimenti inopportuni. 
Anni fa, quando ancora abitavo a Calcata, mi trovavo nella grotticella, dedicata ad Amma, la mia madre spirituale, ed al Dio Ganesh, e mi capitò di rileggere la storia di Mansur Mastana, un saggio sufi che avendo ottenuto l’esperienza del Sé, lo dichiarò pubblicamente affermando “Ana’l-ahqq” che significa “Io sono Dio”.
 Ovvio che in una religione dualistica come quella musulmana tale affermazione fu presa per eresia e Mansur fu condannato a morte. Ma anche sul patibolo egli rideva e continuava ad affermare “la verità” della sua esperienza ma gli altri non potevano capire e semplicemente pensarono che fosse impazzito e comunque meritevole di morte. 
In seguito i sufi s’intesero fra di loro che in futuro sarebbe stato meglio non affermare pubblicamente tale verità, che anche quando fosse stata raggiunta era meglio uniformarsi alle convenienze essoteriche, lasciando le verità esoteriche nel cerchio ristretto degli iniziati.
Così a volte ci possono essere esperienze spirituali che non è bene divulgare, poiché potrebbero essere fraintese o creare confusione nella mente degli ascoltatori. Per questa ragione in tutte le scuole iniziatiche si proibisce esplicitamente di farsi belli con i miracoli, le visioni, gli insegnamenti ricevuti e quant’altro. 
Però, però… stavolta qualcosa vorrei raccontare.  
In effetti non tutti i modi espressivi dello "spirito" sono così elevati da sentircene orgogliosi, spesso per capire un qualcosa di noi, nel profondo, abbiamo bisogno di una dimostrazione della “piccolezza” dell’io superficiale. Questa comprensione è importate per   realizzare che non occorre uniformarsi ad un “modello” di santità idealistica, che ci fa apparire santi a tutti i costi, ma che è sufficiente poter sorridere e passar sopra alla propria  figura ed agli atti da essa compiti, considerandoli normali avvenimenti sul cammino, in cui talvolta si inciampa per rialzarsi e proseguire.
Nello specifico mi riferisco ai nostri aspetti caratteriali, le tendenze e predisposizioni che solitamente consideriamo espressioni del carattere, ed in cui ci identifichiamo.
Dovete sapere, forse già lo sapete, che questo personaggio Paolo D’Arpini è nato in un anno della Scimmia  ed è perciò profondamente convinto di sapersela cavare al meglio in ogni campo (o per lo meno ci prova). Ma siccome ha il Legno (amore, empatia) come elemento principale, egli manifesta questa sicurezza tramite i sentimenti. Poi c’è il Metallo che rende codesto scimmiotto alquanto giusto ed il Fuoco che gli fa vedere le cose per quel che sono, anche se lo rende un po’ troppo “intelligente”  diciamo pure astuto  (in senso "speculativo"). 
Il risultato?
Quando da ragazzo scrivevo poesie lo facevo con impegno amoroso, magari cercando di conquistare con quelle dolci parole le ragazze che altrimenti non mi avrebbero filato (visto che fisicamente  non sono un granché). Siccome poi non mi piace la competizione violenta  mi ero specializzato nel poker in modo da dimostrare la mia superiorità con il gioco   (questo mi ricorda un po’ il tragitto di Siddharta). Inoltre, per quanto riguarda la giustizia, chi mi conosce sa quanto sia un Don Chisciotte che va contro i mulini a vento, e per l’intelligenza la riprova sta nella capacità (messa in pratica anche ora) di raccontare storie ed aneddoti che sanno pure affascinare….
Insomma in tutte le vicende della vita, le tendenze innate, la disposizione alla nobiltà d'animo, le caratteristiche psichiche e gli aspetti elementali si manifestano secondo la loro natura e non c’è nulla da fare in ciò, succede e basta! Ovviamente questo vale anche nella dimostrazione della mia “santità”, quando si tratta cioè di fare quella parte, debbo in qualche modo  farlo attraverso le caratteristiche incarnate. Ma questo non è un "atteggiamento" e nemmeno una "recita" è semplicemente la dimostrazione di quel che si è, nel nome e nella forma. E qualsiasi altra persona fa la stessa cosa secondo le proprie predisposizioni e spinte interiori. Non serve cercare di "farsi belli", siamo già belli (o "brutti") come siamo. L'importante è non farne una "professione" ma lasciare che gli elementi giochino con gli elementi. 
Ancora a proposito di ricordi calcatesi rammento che un giorno, parlando con un amico pittore che si interessava di fantasia onirica gli raccontai che il mio "sogno" era quello di "fondare una nuova religione". 
Da qui il mio voler dare uno specifico ed esclusivo nome all’esperienza interiore, da me definita “spiritualità laica”, che è uno dei miei vezzi ormai riconosciuti.
La comprensione del significato “spiritualità” appartiene in verità all’intelletto mentre il “cuore” non darebbe alcun nome, al massimo sarebbe una “meraviglia di sé”. Dare una definizione ed un significato all’esperienza è già separazione, dualismo.  
Il “cuore” accetta solo l’unione, semplice fioritura, e non comprende la “descrizione” di tale fioritura. Eppure è sotto gli occhi di chiunque che io continuo a parlare di “spiritualità laica” come un giusto modo di esprimere l’integrazione e la realizzazione, avendolo reso persino un “filone”…. 
Scusatemi per questo imbroglio scimmiesco, ma non potevo farne a meno!

Paolo D'Arpini

L'errore dell'illuminazione prematura e la meditazione come "affare"



Negli ultimi 40 anni, l’Occidente è stato invaso da una marea di informazioni spirituali che ormai riempiono le pagine dei quotidiani, gli spettacoli televisivi e le riviste patinate a larga tiratura. Classi di meditazione sono offerte alle Nazioni Unite, perfino Hillary Clinton usa tecniche di visualizzazione e rilassamento, lo yoga è insegnato in molte grandi aziende e la vita di celebrità spirituali come Richard Gere, John Travolta e Tom Cruise è frequentemente oggetto della curiosità del pubblico. La spiritualità è diventata non solo popolare, ma anche un grande affare. La New Age è un’industria multimiliardaria, e alcuni dei più famosi guru e maestri spirituali sono tra gli uomini più ricchi degli Stati Uniti.

Il ricercatore contemporaneo, durante il suo cammino spirituale, cade facilmente vittima di un numero enorme di miraggi, che occorre sapere riconoscere e affrontare. Scoprire le illusioni che abbiamo sul cammino spirituale può essere scoraggiante, se non addirittura deprimente, ma rende possibili realizzazioni spirituali che prima ci erano precluse.

Le motivazioni della ricerca dell’illuminazione

Molte persone hanno un’opinione errata sulle motivazioni per le quali hanno cominciato il cammino spirituale. È molto raro che un ricercatore voglia davvero “realizzare Dio” o “servire l’umanità”. La maggior parte delle persone non sa cosa sia la vita spirituale, per non parlare di cosa cercano in essa. Quando uno studente chiese al maestro zen Suzuki Roshi cosa fosse l’illuminazione, egli rispose: “Perché lo vuoi sapere? Magari non ti piacerebbe”.

Spesso un ricercatore spirituale impiega molti anni per rendersi conto di aver cominciato il cammino spirituale per ragioni che ignora totalmente, e che sono molto meno nobili e romantiche di quello che la sua immaginazione romantica pensava. Scoprire la falsità delle proprie motivazioni può essere molto spiacevole e deprimente, e per questo la maggior parte delle persone preferisce nasconderle nell’inconscio. Si continua tranquillamente a credere di voler solo essere “liberi”, “liberati” e “in armonia con tutta la vita”. Ma mettere a nudo la falsità delle motivazioni è un passo prezioso e necessario nel cammino spirituale. Le ragioni più frequenti che portano a scegliere il cammino spirituale sono:

La libertà dal dolore

La maggior parte delle persone comincia il cammino spirituale perché vuole essere libera dal dolore. “Uno dei maggiori fraintendimenti della gente è quello secondo cui il cammino spirituale è una vacanza”, ha detto il maestro tibetano Chögyam Trungpa Rinpoche. Le persone immaginano che il cammino spirituale darà loro la pace mentale, la trascendenza dei problemi, la libertà dalle perversioni psicologiche e la vita eterna. Si crede erroneamente che, meditando abbastanza, facendo un numero sufficiente di posizioni yoga o leggendo una discreta quantità di libri sulla spiritualità, si conseguirà la beatitudine eterna.

“Troppo spesso i neofiti si illudono che la pratica spirituale sia appagante”, dice lo studioso e l’insegnante di yoga Georg Feuerstein; “Si aspettano di diventare felici e di trovare la risposta alle più importanti domande esistenziali, grazie al loro sforzo o a quello dell’insegnante”. Feuerstein fa riferimento a una concezione che ha le sue radici in un fraintendimento di base e nella negazione della condizione umana: una concezione alimentata dalla palude della New Age e della letteratura pseudo-spirituale che invade il mercato confermando le fantasie dei suoi lettori. Anche se è vero che esistono carrettate di tecniche metafisiche che gonfiano l’ego e creano stati temporanei di estasi e beatitudine, questi ultimi non durano mai, e in ultima analisi hanno poco o nulla a che vedere con la vera spiritualità.

L’ambizione spirituale: la volontà di potenza e di controllo

Chi immaginerebbe mai che la presunta vita spirituale – fatta di meditazione e preghiera, dissolvimento estatico in Dio e umiltà davanti alla verità – possa essere un’altra via per cercare il potere e il successo, o una maschera che cela sensi di inadeguatezza? Per molti è proprio così. La realtà è che la ricerca dell’illuminazione nasconde spesso la ricerca del potere, della gloria, del prestigio o di qualche altra forma di successo mondano.

Se un individuo ha come scopo nella vita quello di diventare “qualcuno”, di essere una persona importante (il direttore generale, la star dello sport, la donna manager, la stella del cinema), e poi comincia un cammino spirituale, è più che probabile che la ricerca del potere e della gloria continuerà nel campo spirituale. È così che funziona l’ambizione. Un individuo ambizioso non lo è soltanto in un contesto, ma in tutta la vita, inclusa quella spirituale.

Gli uomini faranno praticamente di tutto per evitare di affrontare la propria debolezza umana; cioè, faranno qualsiasi cosa pur di non affrontare se stessi. La gente pensa che l’«illuminazione» sia uno stato di onnipotenza in cui non solo si sarà in grado di dominare gli altri, ma si terranno sotto controllo le proprie debolezze e difetti umani. Quello che i testi antichi descrivono come lo stato di “conoscenza perfetta” viene interpretato in base all’ideale di perfezione di ognuno, nel quale non c’è posto per la fragilità umana.

L’illuminazione può sicuramente creare dei poteri o una capacità di controllo illusori, o limitati, ma lo sviluppo spirituale va molto al di là del potere e del controllo terreni. Raramente, se non mai, i veri insegnanti spirituali e le persone dalla comprensione profonda parlano della propria vita in termini di controllo di sé o degli altri. Sanno che la vita è piena di imprevisti, e che un’eventuale influenza sulla vita di altre persone in realtà non dipende da loro. Inoltre, riconoscono che il peso di quella responsabilità è tanto grande da far diminuire qualsiasi sensazione di potere personale.

La paura della morte

La gente cerca l’illuminazione perché non vuole morire. Nelle traduzioni dei testi spirituali, l’illuminazione è sinonimo di “immortalità”, “trascendenza” e “stato eterno”. Sono espressioni molto suggestive per chi ha paura della morte, ma se si comprende il contesto in cui furono create, è chiaro che non si fa riferimento all’immortalità dell’ego o del corpo fisico. Tuttavia, gli esseri umani, alla ricerca disperata di una via per evitare la supposta sofferenza della morte, scelgono certi aspetti degli insegnamenti, evitandone altri. Giungono a pensare che l’illuminazione è il cammino verso la vita eterna dell’ego, che identificano come “se stessi”, e non della consapevolezza, che è sempre già eterna.

Quindi, se per caso ci illuminassimo, il nostro ego cesserebbe di esistere; ovvero, l’ego individuale che all’inizio si era messo alla ricerca dell’illuminazione per evitare la morte sarebbe già morto!

Anche se può essere difficile comprendere quanto siano false e inconsapevoli le motivazioni alla base di un cammino spirituale, gli sforzi fatti non sono inutili. Il grande pregio di qualsiasi autentico cammino spirituale (se percorso con l’assistenza di un maestro affidabile) è il fatto che prima o poi trasformerà l’individuo, a prescindere dalle motivazioni di quest’ultimo. Dio (o la Realtà) è sempre più forte dell’ego, e nel lungo termine (anche se può essere un termine veramente lungo) finirà con il prevalere. Il cammino e il maestro usano la debolezza e le ambizioni dell’individuo per creare delle lezioni che alla fine eroderanno quella stessa debolezza e quelle stesse ambizioni, mostrandole per ciò che sono e portando lentamente allo scoperto la purezza che si trova al di là di esse.

Esperienza spirituale o illuminazione?

Un altro errore comune tra i ricercatori sul cammino spirituale è scambiare le esperienze mistiche per l’illuminazione. Quando qualcuno comincia un percorso spirituale, è verosimile che avrà esperienze di estasi, beatitudine, pace, fusione con tutta la vita e visioni. Uno degli errori più frequenti compiuti dai neofiti è credere che queste esperienze siano lo scopo del cammino. In realtà, in giro ci sono molti maestri, sinceri ma falsi, che insegnano sulla base di una o più di queste esperienze.

Studiando le varie tradizioni esoteriche e occulte, l’assurdità di queste pretese diventa ovvia, perché comprenderemo subito come sia sufficiente la tecnica giusta (il digiuno, la visualizzazione, il “mind-control” e così via) per provocare tali esperienze. Anche se queste ultime possono essere fonte di ispirazione ed elevazione, e possono addirittura essere il catalizzatore che ci porta sul cammino spirituale, è chiaro che la spiritualità non consiste in esse.

Coloro che conoscono l’autentica spiritualità non si lasciano impressionare nemmeno da una camminata sull’acqua. Sanno che lasciarsi incantare da questi spettacoli vuol dire allontanarsi dal vero cammino spirituale. Benché le esperienze psichiche come l’estasi, la beatitudine e la sensazione di fusione non siano nocive o pericolose, e alle volte possano anche essere utili, vanno analizzate con grande cura. Occorre mettere costantemente in dubbio le conclusioni cui si è tentati di giungere dopo tali esperienze. È troppo facile pensare di essere straordinari o importanti solo perché sono avvenute queste esperienze.

Il guru interiore e altre verità spirituali lapalissiane

Tra tutte le comuni verità lapalissiane, quella del guru interiore è una delle più ingannevoli. Anche se l’espressione “guru interiore” indica qualcosa che esiste davvero, molti di coloro che dicono di seguire il guru interiore in realtà non lo stanno facendo. Per udire e seguire l’impegnativa guida di un guru interiore è richiesta una grande maturità umana e spirituale, che si conquista con anni di pratica spirituale, e non leggendo un libro o ascoltando un combattente New Age che proclama il messaggio.
Il motivo principale per cui la gente si volge al guru interiore è la pigrizia e il disinteresse verso la trasformazione genuina. Il guru esteriore – il vero maestro spirituale – porterà in crisi l’ego e metterà a nudo tutto ciò che è falso, cosa impossibile al guru interiore. La vita interiore degli esseri umani consiste in una grande moltitudine di voci (molte delle quali decisamente nevrotiche) e l’ego è ben felice di dare a una di esse gli abiti del monaco, un tono di voce suadente e il titolo di “guru interiore”. Tali guru interiori, conosciuti anche come il “sé interiore”, il “vecchio saggio interiore” o il “profondo sé”, sono noti per permettere alle persone tutto ciò che vuole il loro ego (una vacanza dispendiosa, per esempio, una nuova Ferrari, la manipolazione degli altri “per il bene più elevato” ecc.), sempre in nome della vita spirituale. È molto più facile perdonare i nostri errori se siamo stati “guidati”, rinunciando quindi ad assumerci la responsabilità delle conseguenze. Se la guida dà risultati positivi, diventiamo degli eroi per aver ascoltato e seguito la voce; se le cose non funzionano, siamo semplicemente vittime dei desideri della voce interiore. In un modo o nell’altro, noi non siamo mai responsabili.

Molto simile alla voce interiore è il “seguire il proprio cuore”. È vero che alla fin fine dobbiamo seguire il nostro cuore e che quest’ultimo non mente, ma come facciamo a sapere quando lo stiamo ascoltando? Molte persone non hanno idea di cosa sia il loro cuore, non lo hanno mai percepito né udito parlare. La maggior parte dei messaggi che attribuiscono al cuore, in realtà, vengono dalla mente, che è capacissima di parlare con tono amorevole, delicato e anche “con il cuore in mano”.

Quando le persone ignorano la quantità di “voci interiori” esistenti in loro (inclusa la voce del proprio “cuore”) e non sanno nulla della tendenza dell’ego a corrompere ogni aspetto della personalità per sabotare la crescita spirituale, cadono facilmente vittima delle seduzioni del guru interiore. Alla fine, esse si defraudano di quella crescita e trasformazione che volevano trovare cominciando questo cammino.

Un’altra delle pericolose verità lapalissiane in voga tra i neofiti contemporanei è il ritornello “tutto è un’illusione” e i suoi derivati. Seguendo la logica della mente duale, se tutto è un’illusione, non importa fare del male agli altri o distruggere il nostro corpo con le droghe o l’alcol, perché il corpo non è reale. Se la vita non è altro che un sogno, perché non arraffiamo tutto ciò che possiamo, senza preoccuparci delle persone che calpesteremo nel fare questo e di coloro che diventeranno poveri a causa del nostro egoismo? Se tutto è uguale, non esiste male e bene, giusto e sbagliato: quindi, perché non barare, mentire e rubare?

Coloro che usano indiscriminatamente queste idee prese dalla “realtà assoluta” non capiscono che quest’ultima non nega in alcun modo la realtà relativa. La non-dualità non cancella la dualità. Chi comprende davvero il significato di espressioni come “il guru interiore”, “tutto è uno” e “il maestro è ovunque”, non si vanta mai di queste verità in reazione a una sfida alla sua psiche (al contrario di chi ne ha avuto solo un’intuizione profonda ma fugace). Al contrario, la bellezza della realtà che ha intravisto lo rende più umile, spingendolo a mettersi al servizio e a partecipare maggiormente al mondo in cui viviamo. Come ha detto un altro maestro zen: “Non puoi vivere a lungo nel mondo di Dio: non ci sono né ristoranti né toilette”.

Falsi maestri e falsi studenti

Infine, arriviamo all’argomento dei maestri e i loro discepoli. Che li si chiami guru, maestri, guide o amici spirituali, due cose apparentemente opposte si possono dire su di loro senza ombra di dubbio. Innanzitutto, per raggiungere le vette più alte del cammino spirituale è necessario un maestro; secondo, per ogni maestro autentico, esistono letteralmente migliaia di ciarlatani. Se pensiamo che chiunque sappia declamare eleganti verità spirituali, affermi di essere un “tulku” tibetano o ci prometta l’illuminazione in un week end sia un maestro autentico, stiamo gettando le basi per la nostra futura delusione. Inoltre, è probabile che in futuro dubiteremo di tutti gli insegnanti spirituali, quando in realtà è stata la nostra inadeguatezza di studenti a renderci incapaci di distinguere tra i veri maestri e i ciarlatani.

Il compianto santo indiano Swami Muktananda ha detto che il mercato dei falsi maestri è in crescita perché è in crescita il mercato dei falsi studenti. Arnaud Desjardins, maestro spirituale francese ed ex cineasta, sollecita i neofiti a chiedersi non se il loro maestro è autentico, bensì: “Sono un discepolo?”. Gli studenti spirituali disillusi passano la vita a puntare il dito contro i falsi maestri e a negare la necessità di un maestro vivente ed esteriore, ma la verità è che loro stessi non sono riusciti a essere quel tipo di studente necessario ad attirare un maestro autentico.

Il punto sta nell’essere implacabilmente onesti con se stessi sui motivi per i quali stiamo cercando un maestro, e cosa ci aspettiamo da lui. Se cominciamo la vita spirituale perché vogliamo trovare un nuovo partner sexy, forse non abbiamo affatto bisogno di un maestro. Se pratichiamo la meditazione perché vogliamo essere più sicuri di noi stessi e avere più potere personale, andrà bene qualsiasi insegnante carismatico. Ma se siamo sul cammino spirituale perché stiamo cercando di realizzare il nostro potenziale più elevato, avremo bisogno di un maestro autentico, e per trovarlo dobbiamo diventare discepoli autentici.

Talvolta, per imparare il discernimento e la discriminazione sul cammino spirituale, dobbiamo incontrare una serie di falsi insegnanti. Così impareremo a distinguere tra il falso e l’autentico. In ultima analisi, dobbiamo assumerci la responsabilità di essere finiti con degli insegnanti falsi, perché in noi c’era qualcosa che ci ha impedito di vedere con più chiarezza. Solo allora potremo proseguire sul cammino spirituale con più lucidità.

Un cammino confuso

Le splendide luci delle esperienze mistiche e dell’estasi segnano spesso l’inizio di un cammino spirituale, la cui fine promette di essere ugualmente soddisfacente. Nel mezzo, però, esso è confuso. È tale perché nulla è certo riguardo l’evoluzione spirituale. A un certo stadio, la visione mistica può costituire un’ispirazione fondamentale per il nostro progresso, mentre a un altro stadio la stessa visione può essere una scusa per affermare prematuramente di esserci illuminati. La nostra voce interiore può darci la guida necessaria o riempirci di bugie. Possiamo trovarci a disagio con il nostro maestro perché è un ciarlatano, oppure perché sta portando alla luce parti del nostro ego che preferiremmo evitare. In quest’ultimo caso, diciamo che il maestro è un ciarlatano, quando in realtà è la nostra falsità che è stata portata alla luce.
Il cammino spirituale è un processo di graduale disillusione nel quale tutte le nostre idee riguardo chi siamo, cos’è la vita, cos’è Dio, cos’è la Verità e cos’è lo stesso cammino spirituale vengono smontate e distrutte. È anche un cammino entusiasmante, perché questa opera di smantellamento alla fine ci lascerà con la nuda Verità, che è l’unica cosa che alla fine può soddisfarci.

Il cammino spirituale è vivo; muta e si evolve davanti ai nostri occhi. Poiché sul nostro progresso e le nostre conquiste spirituali non possiamo avere certezze, il nostro compito è affrontare totalmente e senza compromessi le sfide che si presentano di fronte a noi. Se le nostre motivazioni sono serie (non solo riguardo la nostra evoluzione spirituale, ma anche riguardo il nostro impegno verso una genuina cultura spirituale in occidente), non possiamo accontentarci di un falso, la spiritualità New Age (per quanto essa possa essere confortante). La spiritualità autentica ci sta aspettando.

Mariana Caplan *





* Counselor, antropologa culturale e autrice di un libro in cui mette in discussione molti aspetti della spiritualità occidentale. Esso, (Halfway up the Mountain: the Error of Premature Enlightenment), che secondo “Publishers Weekly” solleva molti dubbi sulle vere “motivazioni degli incantatori di serpenti dell’era moderna”, spinge i ricercatori spirituali a pagare il giusto prezzo per la dura strada verso l’illuminazione.

(Fonte: Centro Nirvana)

Spiritualità al posto della religione.. e ritorniamo ad essere tutti Esseri Umani



In seguito alla continua perdita di credibilità delle fedi monolatriche  dualistiche  anche in Italia è ripresa la discussione sull’insegnamento religioso, in forma di "Storia delle Religioni" nelle scuole di Stato.  La cosa non è sinora riuscita a d approdare in una compiuta proposta legislativa ed è  "naturale" che le istituzioni religiose difendano a spada tratta la loro materia, che assicura una retribuzione sicura a tanti preti. All'uscio dell'Ora di religione, inoltre, bussano oggi anche rabbini e mullah, per  garantirsi una adeguata fetta di mercato e di egemonia ideologico-politica. E’ meno naturale che quest’ora sia difesa dai pretendenti come “spazio di libertà” e di "pari opportunità".

Indubbiamente quando entrano in gioco certi interessi le parole volano, troppo spesso sganciate dal loro significato.

Personalmente sono  favorevole  all’insegnamento  del pensiero filosofico laico, collegato alla cosiddetta "Spiritualità laica" o Biospiritualità, basata sulla conoscenza di Sé e sulla propria natura, e non su testi e romanzi inventati.  Questa è la prima ed unica forma di "religiosità" che ha promosso lo sviluppo della società umana nel suo complesso. Vedi ad esempio la funzione evolutiva svolta da filosofie come quella Platonica e Socratica, lo Zen, il Taoismo e l'Advaita Vedanta (non-dualismo), ma vorrei che quest’insegnamento fosse reale, non fittizio. Infatti troppo spesso l’insegnante religioso sviluppa il suo programma  "teorico" magari impartendo  "educazione sessuale" (in forma pseudo tantrica o bacchettona) o  lezioncine a sfondo etico/moralistico (roba per "innocenti").

L'insegnante deve essere qualificato nell'esperienza del Sé e non  dall'accumolo di nozioni apprese sui testi. Così avveniva infatti nelle scuole Zen, ad esempio, in cui non era possibile insegnare se non si era sperimentato il Satori.

Le religioni tradizionali sono ormai  una zavorra inutile, eppure talvolta occorre analizzarle per lo meno allo sopo di ridimensionarle a quel che realmente sono: favole necessarie all'infanzia!

In questo momento storico, in cui assistiamo ad uno scontro ideologico fra varie culture, sovente mi son trovato a mediare le opposte visioni e le contrapposizioni che si creano fra esseri umani. La tendenza è sempre quella di separare nel nome di una ideologia, di una religione. Ciò che avviene in medio oriente fra ebrei e musulmani, fra sciiti e sunniti, avviene anche nel resto del mondo, fra cattolici, ortodossi e protestanti, etc.  e le guerre di religione si manifestano a livello planetario.  Con l'inserimento in lizza del nuovo "materialismo consumista" in antagonismo col "primitivismo ecologista".


In Italia oggi c’è un grande fermento pseudo-religioso, da una parte alcuni si arroccano sulla difesa del cattolicesimo come ultima ratio di civiltà, altri si "convertono" all'islamismo, altri  fanno di tutto per dimostrare che invece è proprio lì il marcio, ed altri ancora si rivolgono a religioni più soft e ragionevoli, verso lo yoga o le tendenze new age e neopagane.

Di queste variegate espressioni di pensiero  io cerco di accogliere le parti più "sane", lo faccio bonariamente, con spirito sincretico,  e cerco di mitigare le accuse e le critiche verso le religioni monoteiste  soprattutto se queste possono divenire  motivo di separazione razziale e di spaccatura nel significato di comune appartenenza alla specie umana.

Certi atteggiamenti intolleranti li ho spesso  trovati in diversi esponenti religiosi ma anche in "puri" razionalisti atei. Questo succede a tutti coloro che si arrogano il diritto di insegnare un loro "vangelo".  Ed è ciò che fanno pedantemente tutti gli assuntori di una religione od ideologia, che siano padri della chiesa, maestri della fede, mullah e rabbini o docenti supremi della "verità" atea.

Ma queste idee separative della specie umana, basate su un pensiero, su un concetto, non hanno senso alcuno. Come si può separare quello che non è mai stato diviso dalla natura e non è nemmeno divisibile? Prendete un cristiano, se lo accoppiate con un’animista prolificano; prendete una ebrea, se la accoppiate con un taoista, prolificano; prendete un musulmano se lo accoppiate con una atea, prolificano…. Tra l’altro i musulmani, che sono furbi, l’avevano già affermato “indirettamente” che non c’è differenza alcuna, infatti hanno insegnato che tutti i figli nati da un musulmano sono musulmani  e tutte le donne che si accoppiano con un musulmano vengono assorbite nella “religione”.

Le religioni e le fedi son solo etichette messe lì da furbi “speculatori” per creare scompiglio fra gli uomini, soprattutto fra quelli che amano pensare in termini dualistici e che non hanno nient’altro da fare se non vedere differenze fra se stessi e gli altri… ed in questo ovviamente sono bravissimi i cristiani, i musulmani, gli ebrei, i nazisti, i comunisti, i flippatisti… e tutti quelli che spaccano l’umanità in nome di un “nome”

Coraggio! Siamo tutti Esseri Umani

 Paolo D’Arpini


Osho: "Ascoltare il silenzio"



Molto è possibile solo grazie all’ascolto. È una meditazione incredibile, ascoltare soltanto. E non c’è bisogno d’altro. Se ascolti totalmente, due cuori cominciano a incontrarsi e fondersi. Molte volte i confini si dissolvono e non sai più se sei colui che ascolta o colui che parla. Quelli sono i rari momenti in cui qualcosa accade realmente. In Oriente abbiamo dato un grande valore al satsang, mentre in Occidente non è mai esistito niente di simile. Il satsang è un concetto squisitamente orientale. Dice che stare semplicemente vicino al maestro, senza fare nulla, è l’unica cosa di cui c’è bisogno. Se parla, ascolti le sue parole. Se non dice nulla ascolti il suo silenzio. Se ride, ascolti le sue risate. Il solo esserci, disponibile, aperto, vulnerabile… come una spugna, che assorbe la sua energia, la sua vibrazione… permettendogli di riversarsi dentro di te. Alcune persone hanno raggiunto l’apice solo sedendo accanto al maestro.

Si racconta che un maestro Sufi a cui fu chiesto come si era realizzato rispose: “Per 3 anni sono solo stato seduto vicino al mio maestro e lui nemmeno mi guardava. Era difficile dire se mi avesse mai notato, perché non mi rivolgeva mai lo sguardo. Arrivava e se ne andava e per 3 anni non mi ha mai guardato. Ma io sono stato persistente, e un giorno infine mi ha guardato. Fu un dono immenso, una grazia. E poi per altri 3 anni si dimenticò di me. Dopo 6 anni un giorno mi sorrise. Per altri 3 anni niente. Poi un giorno mi prese la mano e la strinse nella sua. E per altri 3 anni niente. 12 anni passarono così. Poi un giorno mi abbracciò e disse: ‘Ora cosa fai qui? Vai e fai agli altri ciò che io ho fatto a te’. Si sedeva e diceva: ‘Siediti al mio fianco’ ed è questo che ho imparato.

Se riesci semplicemente ad ascoltare ed essere, non c’è bisogno d’altro”. (Tratto da: Osho, The Passion for the Impossible)


Se aspetti in silenzio – senza alcun desiderio, nessuna aspettativa – arriva il momento in cui il tuo silenzio è così totale e la tua attesa così fresca, pulita che la porta si apre. E sei trasportato nel tuo più profondo, recondito spazio interiore, nel tuo tempio. Questo è sempre stato il mio insegnamento.

E questa è una buona opportunità per un’attesa silenziosa. Quando eri vicino a me eri così pieno di me, della mia presenza, delle mie parole che non avevi mai avuto modo di pensare all’attesa. Io ero lì, disponibile. Ora posso essere disponibile non all’esterno, ma soltanto dall’interno. È un grande incontro, di totale pienezza, di gioia infinita. Quindi, non ti disperare, non cadere nell’angoscia. Non credere di essere lontano da me.

Sei lontano solo quando non sei in silenzio. Sei lontano solo quando non è presente l’attesa, altrimenti sei molto vicino a me. Ovunque tu sia, il silenzio ti unirà a me e la tua attesa preparerà il terreno per l’incontro che è non fisico, è fuori dallo spazio, fuori dal tempo!
Usa questa opportunità. E ricorda sempre che qualsiasi cosa accada deve essere usata come un’opportunità. Non c’è nessuna situazione al mondo che non possa essere usata come un’opportunità. Ti senti triste perché sei lontano. 

Certo, è una reazione naturale, ma non è un uso attento di questa opportunità. Non sprecarla nella tristezza, altrimenti disperarti diventerà come un cancro  dell’anima. Sono stato con te abbastanza a lungo, è arrivato il momento per te di scoprire se riesci a stare con me anche in mia assenza, con lo stesso senso di celebrazione, per quanto difficile possa sembrare all’inizio. Scoprirai un’infinita pienezza e l’assenza non sarà più un’assenza; ti sentirai ricco della mia presenza ovunque sarai. È questione di un certo ritmo, di una sintonia... due persone possono sedersi vicine, con i corpi che si toccano ed essere lontane, lontane come stelle distanti; puoi trovarti in mezzo a una folla ed essere comunque solo.

Quindi la questione non è di vicinanza fisica, la questione è capire che cosa succede alla presenza di un maestro. Il tuo cuore inizia a battere esattamente al ritmo del cuore del maestro; il tuo essere inizia ad avere lo stesso canto del silenzio che ha l’essere del tuo maestro. Questi sono gli elementi che ti portano vicino a lui. Se riesci ad avere queste due cose, puoi trovarti anche su un altro pianeta, non farà alcuna differenza! Non è niente che abbia a che fare con la distanza.

Sei stato con me così tanto, sai perfettamente che cosa ti succede in mia presenza. Datti una possibilità: chiudi gli occhi, siedi in silenzio, aspetta che succeda la stessa cosa. E resterai sorpreso, ti accorgerai che non è necessario che io sia lì fisicamente. Il tuo cuore può battere con lo stesso ritmo: lo conosci. Il tuo essere può raggiungere le stesse profondità di silenzio e lì non esiste alcuna distanza. E non sei da solo, non ti senti solo. Certo, sei solo, ma questo essere solo ha una bellezza, una libertà, una profonda integrità e centratura in te stesso. (Tratto da: Osho, The Path of the Mystic)