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Una memoria bioregionale.. a Pratale



Torno da Etain a Pratale a quasi un anno di distanza. La mia prima
volta si può dire sia stata una sorta di battesimo. Fidandomi
ciecamente di un uomo, che ora posso chiamare amico, lo scorso
settembre mi ero avventurata verso un luogo e persone a me totalmente
sconosciuti. Il caso volle che facessi quel viaggio arrivando di notte
nel buio più pesto che abbia mai visto in vita mia e sentendo la
responsabilità di aver coinvolto anche un’amica nell’avventura.

Una volta riuscite ad arrivare abbiamo avuto un altro impatto
negativo. Martino, il marito di Etain, sentendo arrivare una macchina
troppo vicino alla casa, era uscito gridandoci malamente di tornare
indietro al parcheggio, che ovviamente con quel buio non avevamo
visto.

Quando poi finalmente entrammo nel grande cortile fummo accolte
cordialmente come se nulla fosse successo, come due figlie tornate un
po’ troppo tardi la sera e alle quali, per fortuna non si erano
abbuffati, avevano lasciato un piattino di pasta da mangiare, seppur
in tensione lo stomaco brontolava e reclamava.

Si dice che “il buon giorno si vede dal mattino”, dopo una bella
dormita il mondo cambiò. La mattina seguente era inondata di sole,
tanti i rumori della campagna e un asinello curioso sbirciava dentro
dalla finestrella della stanzetta in cui dormivamo. Etain e Martino
erano già al lavoro, un buon caffè bollente ci aspettava. Con la luce
del giorno un magnifico e imponente gelso appariva in tutta la sua
bellezza al centro del piazzale.

In questo 25 luglio, quindi, serena e con tanta voglia di tornare – è
quasi più di un mese che rimandiamo – mi accingo al viaggio: ricordo
perfettamente ogni punto della strada e la farò di giorno, sono
consapevole di ciò che troverò e sono con 3 amici (stranamente anche
loro conosciuti da circa un anno). Probabilmente questo è stato un
anno di svolta epocale, rimarrà negli annali.

Il gelso è sempre lì, immenso ed accogliente come le braccia di Etain
che ci saluta all’arrivo. Il piazzale è pieno di persone, molti
giovani, arrivati da varie parti del mondo e stasera si festeggia
anche il compleanno di Beniamino, il figlio di Etain. Mi viene
spontaneo dirle “forse era destino che arrivassimo proprio in questo
bel giorno di festa”, 26 anime sotto il gelso.

Ci svegliamo presto la mattina successiva dopo una notte, almeno per
alcuni, non priva di altre emozioni. La tavola sotto il gelso attende,
con una invitante colazione, il risveglio di tutti. Oggi è domenica e
anche se ci sono sempre le incombenze della vita quotidiana, tutto
procede tranquillo e lento.

Viene fatto circolare un foglio dove ognuno sceglierà un compito da
assolvere, noi ultimi arrivati veniamo “graziati”, possiamo fare una
bella passeggiata nel bosco, arrivare all’eremo e tornare per l’ora di
pranzo.

Ci avviamo baldanzosi, non sappiamo bene quanta e quale strada ci
attende. Io vado troppo in fretta e qualcuno mi rimprovera “non si fa
così una passeggiata nella natura”. Rallentiamo, troviamo un albero
con rami artisticamente contorti che sicuramente non sfigurerebbe
vicino alle “sculture nella natura” che qualche moderna associazione
pseudo-naturalista sta promuovendo a mo’ di innovazione dell’arte al
servizio dell’ambiente. L’albero risulta essere un melo, la Eva che è
con noi trova in effetti una bella mela per terra (un po’ mordicchiata
per la verità) da offrire all’Adamo che si presta volentieri per una
bella foto ricordo.

Usciti dal bosco percorriamo quindi la strada bianca di ciottoli,
sotto il sole cocente ma per fortuna con un venticello e ogni tanto un
po’ d’ombra a ristorarci, fino all’eremo. Sembra non si arrivi mai e
qualcuno dice “mi sa che era meglio assegnarci qualche lavoro in
fattoria, questa passeggiata sa un po’ di penitenza”, infatti stiamo
percorrendo un tratto della via di S.Francesco.

Finalmente arriviamo, che delusione! Non che il posto non sia
splendido anzi anche troppo. Ci aspettavamo un eremo dove poter
sostare qualche minuto per riposare il corpo e la mente, ma abbiamo
trovato un luogo che sembra la villa blindata di un qualche magnate.
Però sul muro esterno c’erano belle immagini affrescate con santi, con
tanto delle seguenti scritte :

Eremo S.Pietro in Vigneto costruito dai monaci benedettini sulle
rovine del tempio pagano dedicato a Marte Ciprio. Per due secoli
l’Eremo rimase luogo di preghiera e solitudine. Poi Pio II ne fece
dono ai canonici della Cattedrale di Gubbio. Dal 1994 un sacerdote vi
dimora mantenendo vivo lo spirito dei padri del deserto : silenzio
preghiera e lavoro.

Ai viandanti si chiede rispetto del luogo e di lasciare inalterata la
fisionomia del posto. L’eremo non è un ostello e ancor meno luogo per
visite turistiche. Voglia benedire Dio quanti sapranno mantenere
l’ambiente puro e genuino rispettando l’itinerario francescano.

*****

Libera oh Signore dai turisti gli eremi ed i monasteri, affinchè

restino luoghi di pace e di vita nascosta per il bene del mondo. Amen

*****

Non si visita – no visit

*****

Se vuoi salvarti fuggi taci e ricerca la quiete.

*****

Vita dell’eremo

h 4,30 sveglia

h 5,00 mattutino

h 6,30 ss.messa

h 8,00 meditazione

h 9,00 lavoro

h 12,00 angelus

h 12,30 pranzo

h 14,00 vespro

h 19,00 cena

h 20,30 compieta

h 21,30 riposo

*****

Oggi 26 luglio 2009 alle ore 12,00 siamo davanti ad un cancello
blindato dal quale si intravede un magnifico parco ed un maniero di
lusso, l’angelus evidentemente è a porte chiuse, forse avremmo dovuto
prenotare!

Immediatamente penso alla fattoria di Pratale, Etain e Martin non sono
sacerdoti ma vi dimorano mantenendo vivo lo spirito dei padri del
deserto : silenzio preghiera e lavoro. Ai viandanti chiedono rispetto
del luogo e di lasciare inalterata la fisionomia del posto. Pratale
non è un ostello e ancor meno luogo per visite turistiche.

Etain e Martin benedicono ed accolgono quanti sapranno mantenere
l’ambiente puro e genuino rispettando non solo l’itinerario
francescano ma la natura tutta, affinché restino luoghi di pace e di
vita non nascosti per il bene del mondo.

La loro porta è aperta tutti i giorni dell’anno ed a qualsiasi ora.
Non ci sono orari prefissati, le attività quotidiane vengono comunque
svolte, in armonia e condivisione.

Con questa consapevolezza, decidiamo per la via più lunga di ritorno,
sotto il sole cocente di mezzogiorno, assegnandoci così nostra
“sponte” questa penitenza. Almeno avremo meritato il nostro pasto.

Il gelso è sempre lì, continua a proteggerci ed accoglierci anche
nella siesta pomeridiana. Ma arriva il momento della partenza.
Abbracci e parole affettuose per tutti. Etain che mi dice: “tornate
ancora”, ed io le rispondo: “cercheremo di farlo”.

Laura Lucibello


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