Pagine

"Shaktipat, il risveglio di Kundalini.."



La divina energia (Shakti) una volta risvegliata lavora incessantemente e permanentemente nel discepolo. Questa è l'Energia che sempre cresce, che sempre più manifesta la sua gloria. Energia divina è solo un altro nome per Volontà divina. Così meravigliosa è questa Energia che è perfetta in ogni sua parte come nella sua interezza. Una volta che la Coscienza è stata risvegliata gli effetti della Grazia si manifestano sino al compimento finale della totale liberazione." (Swami Muktananda in risposta alla domanda: l'effetto di Shaktipat è temporaneo o permanente?)

Le notizie qui riportate sono informazioni pratiche, sicuramente utili... Ad esempio per gente come me che non sapeva nulla di risveglio della Coscienza.  Durante il mio primo soggiorno a Ganeshpuri, nell'estate del 1973, sperimentai il "risveglio della Kundalini" alla presenza del mio Guru, a volte credevo di impazzire o che che ci fosse lsd nel cibo, per il tipo di esperienze che avevo giornalmente..  


Era importante sapere, anche intellettualmente e psicologicamente, cosa stesse accadendo dentro di me... Per fortuna potei leggere il libro di Muktananda che parlava delle sue esperienze durante il processo di risveglio,  da lui vissuto con il suo Guru Nityananda,  e questo fu un grande aiuto. Più avanti, tornato in Italia, feci una traduzione completa del suo libro, che però in Italia fu pubblicato in una versione diversa dalle Edizioni Mediterranee (Il Gioco della Coscienza). 

Di seguito ho inserito un breve stralcio di un altro testo,Satsang with Baba,  con domande e risposte  sui risvolti spirituali del risveglio di Kundalini.

(P. D'A.)




Domanda (Mrs. Salunkhe): Cosa si può fare per essere meritevoli di ricevere Shaktipat? E come fa una persona a sapere quando l'ha ricevuta?

Risposta (Baba Muktananda): Per ricevere Shaktipat uno deve avere la necessaria qualificazione. Dopo tutto cos'è Shaktipat? Per molta gente questa parola risulta strana. Shaktipat è Grazia, la trasmissione della Grazia divina. Shaktipat, Grazia divina e Favore del Maestro sono sinonimi. Per lo Shaktipat uno deve essere maturo per la Grazia divina. Per ricevere il Favore del Maestro innanzitutto uno studente deve rilasciare la sua propria grazia sul Maestro.

Il Favore del Maestro ovviamente scenderà naturalmente, spontaneamente, sul discepolo. Ma allo stesso tempo il Maestro ha bisogno della grazia del discepolo, in forma di maturità per lo Shaktipat.

Non devi domandare per sapere se hai ricevuto la Grazia o no. Quando prendi un raffreddore te ne accorgi da sola senza dover domandare a nessuno, osservando i cambiamenti che avvengono nel tuo corpo. Se ti ammali di dissenteria o qualche altra forma di indigestione, lo sai direttamente da te. Se litighi con qualcuno, guardando le tue reazioni mentali comprendi subito che la mente è diventata inquieta, che la lite ti ha lasciato in uno stato confusionale e disturbato.

Allo stesso modo, dopo aver ricevuto Shaktipat, alcune cose avvengono al tuo interno. Osservandoti  puoi capire da te che sei stata benedetta dalla Shakti. Il momento che la grazia penetra in un discepolo egli si sente completamente rinnovato. Kriya yogiche e movimenti interiori iniziano a manifestarsi da soli. Questi movimenti possono essere fisici o mentali, esterni od interni.

Come risultato dello Shaktipat due di queste cose possono avvenire. O entri in una condizione di meditazione profonda, uno stato di totale assorbimento, o la mente diviene talmente disturbata come non lo è mai stata prima, e tu cominci a chiederti cosa mai è successo...

Dopo che la Shakti si è risvegliata, ogni giorno nuove esperienze iniziano a manifestarsi automaticamente, ed in breve tu puoi affermare che la tua vita è trasformata completamente. Uno yogi ottiene la liberazione dopo aver ricevuto Shaktipat. Prima di Shaktipat uno dipende dagli altri. Per apprendere un semplice pranayama devi andare da un maestro. Per una ordinaria meditazione ancora devi contare su qualche tecnica o su qualche insegnante. Ma dopo Shaktipat l'energia (Shakti) lavora liberamente al tuo interno e non devi più andare in giro per imparare tecniche da diversi istruttori, poiché varie forme di pranayama etc. avvengono da sé e la meditazione segue spontaneamente.

Dopo il risveglio della Shakti un cercatore è in grado di sperimentare differenti stati, visitare diversi mondi sottili, come il paradiso, l'inferno, il mondo dei morti e quello degli antenati, e tutti gli altri mondi mentali di cui parlano le scritture. Tu puoi avere strane visioni nello stato di veglia, nel sogno, o nel tandra meditativo (stato fra il sogno e la meditazione). Queste visioni rivestono grande importanza e sono molto utili alla comprensione della mente. Dopo aver ottenuto il risveglio della Shakti il cercatore deve conservarla amorevolmente, con riverenza, facendo di tutto per mantenerla attiva dentro di sé.

Swami Muktananda – Satsang with Baba – 30 giugno 1972



(Traduzione di Paolo D'Arpini)


.........................


Commento di Caterina Regazzi: 

 “Bellissimo avere un risveglio della coscienza senza sapere nulla del risveglio della coscienza! Se fosse sempre così! Ora con tutto questo parlarne (a volte leggo con un misto di divertimento, curiosità e scetticismo su FB botta e risposta su risveglio, risvegliati e autocompiacimento del proprio stato di "consapevolezza avanzata"), secondo me e per me faccio fatica a togliermi dalla mente il condizionamento alla ricerca, all'esame del percorso, mentre il percorso si dovrebbe srotolare come una matassa ben arrotolata e non come una matassa ingarbugliata, e poi c'è chi alza la propria bandiera e dice: "questo percorso è meglio di questo, è più serio, è più profondo, ecc. ecc." L'attenzione, l'auto-osservazione rischiano di essere sviate, condizionate da questa pletora di situazioni, parole...”

Guarire, di David Servan-Schreiber - Recensione



Guarire. Una nuova strada per curare lo stress, l'ansia e la depressione senza farmaci né psicanalisi di David Servan-Schreiber 

Eccovene qualche pagina. Buona lettura!

Capitolo 4
Il legame con gli altri

"Se non sono responsabile per me, chi lo sarà? Ma se lo sono per me stesso soltanto, che cosa sono? E se non me ne preoccupo abbastanza adesso, allora quando?" (Hillel, Le Traité des Pères)

La vita è una lotta. Ed è una lotta che non vale la pena di condurre solo per sé. Il nostro spirito ricerca sempre un senso oltre i confini della sua “fatica di essere sé”, per riprendere la bella espressione del sociologo Alain Ehrenberg. Per perseverare nello sforzo di vivere, gli serve una ragione che vada oltre la semplice sopravvivenza.

In “Terra degli uomini”, Saint-Exupéry (autore del “Piccolo Principe” NdR) racconta di quando il pilota Henry Guillaumet si perse con il suo areo sulla Cordigliera delle Ande. Per tre giorni Guillaumet marciò dritto davanti a sé in un freddo glaciale, a un certo punto cadde nella neve a faccia in giù.
Questa sosta imprevista gli permise di capire che se non si fosse rialzato subito non lo avrebbe fatto mai più. Però, stremato, sentiva di non averne più voglia: ormai lo allettava solo l'idea di quella morte dolce, indolore, gradevole. Nella sua testa aveva già detto addio alla moglie e ai figli e sentito per l'ultima volta tutto l'amore che provava per loro. Poi un pensiero lo colse all'improvviso: se non si fosse ritrovato il suo corpo, la moglie avrebbe dovuto aspettare quattro anni prima di incassare l'assicurazione sulla vita.

Subito dopo, aprendo gli occhi, Guillaumet vide una roccia emergere dalla neve cento metri più in là: se si fosse trascinato fino a quel punto, pensò, il suo cadavere sarebbe stato un po' più visibile, forse l'avrebbero scoperto prima. Per amore dei suoi cari, Guillaumet si tirò su. Ma adesso era quell'amore a spingerlo e lui non si fermò più, percorrendo ancora centottanta chilometri sulla neve prima di raggiungere finalmente un villaggio. Più tardi dichiarò: “Quello che ho fatto io, non l'avrebbe fatto nessun animale al mondo”. Quando la sua sopravvivenza non era più stata un motivo valido per continuare a lottare, a dargli la forza di resistere erano intervenuti l'amore e la sua coscienza degli altri. 

Oggi ci troviamo nel pieno di una tendenza mondiale all'individualismo “psicologico”, o “sviluppo personale” i cui grandi valori sono l'autonomia, l'indipendenza, la libertà, l'espressione di sé. Questi aspetti sono diventati talmente centrali che se ne servono addirittura i pubblicitari, che ci fanno acquistare la stessa cosa che compra il nostro vicino persuadendoci che averla ci rende unici. “Sii te stesso” gridano le pubblicità di abiti e profumi. “Esprimi il tuo io” suggerisce lo slogan di una marca di caffè. “Pensa diversamente”, ordina quello di un'azienda produttrice di computer. Negli Stati Uniti, per attirare nuove reclute, si è messo su questa strada perfino l'esercito, che pure non è esattamente il simbolo dei valori individuali: “Siate tutto quello che volete essere” promettono i poster pubblicitari, sullo sfondo di carri armati in manovra nel deserto.

Certo, questi ideali in irrefrenabile ascesa dopo le rivoluzioni americana e francese della fine del XVIII secolo hanno portato molti benefici e sono al centro della nozione di “Libertà” cui teniamo tanto. Ma più avanziamo in questa direzione, più constatiamo che anche l'indipendenza ha un suo prezzo: l'isolamento, la sofferenza, la perdita di significato. Mai come oggi siamo stati liberi di separarci da un coniuge che non sopportiamo più, e il tasso di divorzi nelle nostre società tocca il 50%. E mai come oggi abbiamo traslocato: negli Stati Uniti si stima che una famiglia cambi casa mediamente ogni cinque anni. Liberati dai legami, dai doveri, dagli obblighi verso gli altri, non siamo mai stati così liberi di trovare la nostra strada, dunque di rischiar di ritrovarci soli e smarriti. Questa è senza dubbio una delle ragioni per cui nel corso degli ultimi cinquant'anni l'incidenza della depressione in Occidente è andata costantemente aumentando. 
Ricordo un'anziana signora che andavo a visitare a domicilio perché aveva paura a muoversi, Soffriva di enfisema e doveva essere sempre collegata alla bombola di ossigeno. Ma il suo problema più serio era la depressione: a settantacinque anni non c'era più niente che la interessasse, si sentiva svuotata, ansiosa e aspettava la morte. Naturalmente dormiva male, non aveva appetito e passava le giornate a compiangersi. Eppure, non potevo fare a meno di restare impressionato dalla sua intelligenza e dalla sua evidente competenza in molti campi. Per molto tempo la signora era stata assistente di direzione e da lei emanavano un'aria di precisione e un'autorità naturale che persistevano nonostante le sue condizioni. Un giorno le dissi: “So che lei si sente molto male e che ha bisogno di aiuto, ma è anche una donna con tante qualità che potrebbero essere estremamente utili alle persone che ne sono prive. Che cosa fa per aiutare gli altri?” Lei fu molto stupita del fatto che il suo psichiatra le facesse una domanda del genere. Ciò nonostante, la vidi quasi rianimarsi e una luce di interesse le brillò negli occhi. Dopo il nostro colloquio, decise di impegnare qualche ora per insegnare a leggere ad alcuni bambini poveri. Non fu facile, perché spostarsi le causava notevoli difficoltà, e non tutti i piccoli che seguiva si dimostravano riconoscenti, per non parlare di quelli caratterialmente difficili. Ma quell'impegno diventò una parte importante della sua vita. Le diede un obiettivo, la sensazione di essere utile, e l'ancorò nuovamente alla comunità da cui l'età e l'invalidità l'avevano staccata.

Tutte le strade partono da Roma... e vanno altrove



Tutte le strade portano a Roma... o forse il contrario? Forse tutte le strada partono da Roma e vanno altrove.. dico io.

E lo dico a ragion veduta, infatti pur essendo nato a Roma ecco che il destino mi ha fatto lasciare irrimediabilmente la patria avita mettendomi sulla strada del pendolarismo in quel territorio che un tempo fu Stato della Chiesa. Faccio avanti ed indré fra le Marche e l'Emilia Romagna....

Però non dimentico le origini.. e anche quest'anno festeggerò il Natale di Roma, il più semplicemente possibile, nella città di Treia, che la mia compagna Caterina Regazzi mi ha fatto conoscere, anche lei come me nata a Roma e da essa fuggita (o scacciata?) alla ricerca di...

Lo storico latino Varrone riporta la nascita di Roma al 21 aprile del 753 a.C. ma siccome la giornata fu macchiata da un fratricidio, Romolo uccise Remo, o forse per ragioni legate alla qualità del tempo, questo giorno era considerato nell’antico calendario romano “nefasto puro”. Ciò non ostante il 21 aprile da tempo immemorabile era festeggiato con le cerimonie dette “Palilia”, le feste dedicate a Pales antica dea italica protettrice dei pascoli, importanti per l’economia agricola pastorale, in quel giorno la campagna romana veniva benedetta con le ceneri provenienti da un fuoco di paglia per purificare le messi e gli armenti. Mi sembra che questo rito valga la pena di essere ricordato, anche per riportare l’attenzione ai bisogni primari dell’uomo e sul come soddisfarli in modo naturale. Per questa ragione sarei felice se questo Natale di Roma fosse onorato in modo allargato –diffuso, come si dice oggi- in tutto il territorio che un tempo fu romano, senza delineare uno specifico areale ma lasciando alla fantasia di ogni abitante il compito di come e dove svolgere la funzione sacrale commemorativa, dimenticando il fratricidio legato al senso del possesso e del potere e ricordando invece la sacralità dei luoghi che contribuirono al sostentamento dei romani. Ritorniamo al grande magma della vita in cui ogni luogo è sacro e rappresentativo della Terra. Roma sorse con un messaggio di superamento delle etnie e delle appartenenze, riportiamo l’attenzione al calderone magico dei primordi, che è la Terra stessa – come dice Marina Canino, ricercatrice delle origini della romanità – in cui ritrovarsi vivi nella circolazione delle cose e delle persone, un fluire che porta ricchezza, e non nella distribuzione schematica e programmatica di un sistema politico-economico-religioso mal sopportato da tutti, ma in silenzio….

Alla ricerca di un “nuovo respiro” e di "un’altra dignità umana” ci incontriamo a Treia il tardo pomeriggio del 21 aprile 2015 nei giardini di San Marco davanti all'obelisco per  meditare sul nostro presente di romani senza radici.... 

Paolo D'Arpini, Circolo Vegetariano VV.TT. 




Info e prenotazioni: Tel. 0733/216293

circolo.vegetariano@libero.it 



Invece per chi ha ancora le radici nell'Urbe, consiglio la partecipazione agli eventi organizzati dagli amici di Costellazione della Lira. 
L'incontro si svolgerà  21 aprile 2015 alle ore 12,00 sotto il monumento a Simon Bolivar sul Monte Sacro a Roma in via Falterona. (vedi: http://altracalcata-altromondo.blogspot.it/2015/04/roma-il-terzo-giuramento-del-monte-sacro.html

 

Alienazione e riavvicinamento al sano rapporto "uomo natura animali"



Il rapporto -secondo me- “ideale” (o se preferite “ecologico”) con gli animali e le piante non è né quello "emozionale" che abbiamo con  i pets, né quello "utilitaristico" con gli animali erbivori, sfruttati negli allevamenti industriali (o peggio ancora con quelli usati nei laboratori medici della vivisezione). 

Tenere gli animali in salotto o torturarli e mangiarli  è  il contraltare di una relazione falsa ed ipocrita. Entrambi questi  approcci sono modi scriteriati di rapportarci con gli animali. Noi stessi -tra l’altro- siamo animali, quindi abbiamo bisogno di avere un contatto "equilibrato" con i nostri “fratelli e sorelle” di altra specie. Se è chiaro questo… allora comprenderete tutto il resto…

Non teniamo gli animali in gabbia (per sfruttarli fisicamente) e nemmeno nei divani (per sfruttarli psicologicamente).

Dobbiamo trovare una via di mezzo che non sia il risultato di un senso di colpa o di un bisogno psicologico e nemmeno di una totale cecità ecologica ed etica.  

Purtroppo la vita malsana e virtuale della società moderna, che si svolge in contesti urbani distaccati dalla natura,  ci porta a dover avere un rapporto con gli animali molto finto. Ce li portiamo in casa, come  ho visto fare persino con maiali e conigli, serpenti, topi, etc.… Oppure li ignoriamo, in quanto appaiono davanti a noi solo in forma di pezzi di carne. I pochi selvatici residui si arrabattano a vivere nel loro habitat, alla meno peggio, sempre più ristretti. Da quell'habitat "naturale"  noi  siamo esclusi (perché non più avvezzi a vivere nelle poche foreste rimaste) e pensiamo di conoscerli solo perché li guardiamo alla TV o su internet. 

Ripeto, non sono entusiasta nell’assoggettare nuove specie alla cattività… però se alcune specie di animali non venissero tenute in cattività sarebbero destinate alla scomparsa, per via della eliminazione dal pianeta di un ambiente idoneo (l’uomo occupa sempre di più ogni spazio vitale). Insomma andremmo verso un ulteriore impoverimento della biodiversità. Inoltre c’è il fatto che -dal punto di vista evolutivo- alcune specie di animali in simbiosi con l’uomo hanno trovato vantaggi nella cattività (sia per la diffusione, sia per l’avanzamento intellettuale e coscienziale).

Siamo tutti in una grande bolgia chiamata vita e non sta bene scindere gli uni dagli altri… No quindi allo sfruttamento incondizionato ma sì al contatto empatico. Sono favorevole ad una via di mezzo. L’uomo, da animale istintuale e raccoglitore di cibo sparso, si è trasformato in un lavoratore che ricava attraverso il suo ingegno cibo e modi di crescita. 

Il lavoro ha affrancato l’uomo dalla “bestialità” pur costringendolo a nuovi parametri di debolezza e alienazione? Non lo sappiamo, ma la situazione è questa!  Il fatto è che  sia nei rapporti fra esseri umani che nel rapporto con gli animali dovremmo trovare un modo “equanime” di poter esprimere il contatto e la collaborazione senza dover ricorrere a perversioni. 

Avrete compreso che -a questo punto-  il sano rapporto uomo natura animali è un fatto di sopravvivenza generale della vita sul pianeta in un modo simbiotico, con opportuni aggiustamenti e con opportune riflessioni sui valori della vita stessa…

Siamo in una scala evolutiva che in parte noi umani abbiamo percorso, ci manca ancora molto per arrivare alla cima della comprensione, possiamo però aiutare coloro che sono ai primi gradini senza doversi vergognare… Sapendo che il loro bene è anche il nostro. Questo vale per le piante, per l’aria, per le risorse accumulate sulla terra nei milioni di anni, per il nostro passato nella melma e per il nostro futuro nelle stelle. Per aspera ad astra!

Paolo D'Arpini

La "civiltà" dell'immondizia



Il nostro futuro non può continuare a riempire le città di immondizia, rifiuti industriali, inquinamento... Questo è pacifico, e non dico niente di nuovo, cosi come dire che la “qualità” deve prendere il posto della “quantità”. Tale concetto infatti lo si può annoverare ormai tra il “luoghi comuni”. Siamo tutti annoiati dal sentire parlare per “luoghi comuni” ma di fatto non facciamo niente per smentirli o trasformarli in concetti che valgono il tempo stesso che si “spreca” o “utilizza” per pronunciarli.

Il consumismo sfrenato del popolo (per generare interessi) si traduce direttamente in consumo energetico (petroli che sta per finire) se non si inverte questo processo con la decrescita (e sostituendo la moneta debito con la moneta di proprietà del popolo). Cerchiamo di capire la causa per una volta e non soffermiamoci a combattere solo l’effetto. Non si può avere la botte piena la e la moglie ubriaca. 


Dobbiamo fermare la crescita.

Infatti la crescita indiscriminata (auspicata dal sistema finanziario) non ha un piano strategico volto al benessere dell’uomo presente e futuro e alla “qualità” della sua vita, ma solo di generare mercato per far muovere soldi (non importa come). Ricordiamo che ogni 100,00 euro, tutti gli italiani devono riconoscere una tassa (adesso) del 2% a dei banchieri privati. Quindi è chiaro che la lungimiranza dei banchieri si ferma al verificare la “quantità” di economia che si riesce a fare al fine di farsi riconoscere gli interessi, tutto il resto non sono bazzecole dei poveri idealisti. La qualità significa fermarsi a riflettere, significa cose che durano, significa tempo libero, significa cultura, significa costruire cose che durino nel tempo (contro l’obsolescenza programmata).

Tutto questo significa ridurre la “quantità”....

Giuseppe Turrisi

Medicina d'altri tempi - Pozione antibiotica millenaria risulta ancora efficace




Affascinante (ri)scoperta scientifica! Trovato in uno dei libri più antichi di medicina inglese un rimedio in grado di distruggere il 90% dei batteri, resistenti ai moderni antibiotici, MRSA. La pozione è stata scoperta in un polveroso manoscritto del medioevo, conservato alla British Library, e i ricercatori dell’Università di Nottingham l’hanno tradotta, riprodotta e testata. Il medicinale vecchio di mille anni, tutt’ora efficace come antibatterico, è stato presentato al congresso annuale della ‘Society for General Microbiology’ a Birmingham.

La pozione veniva usata nel Medioevo contro le infezioni agli occhi, una sorta di collirio ‘ante litteram’ a base di aglio, cipolla, vino e bile di stomaco di mucca, può oggi sconfiggere il Mrsa, lo Stafilococco aureo resistente alla meticillina. Un nemico invisibile che senza un opportuno trattamento può diventare molto pericolo. Questi gli ingredienti, da far macerare insieme per 9 giorni a 4°C. Il rimedio è risultato efficace solamente se preparato in modo completo, al di là dei singoli componenti.

Il manoscritto è il Bald’s Leechbook ed è considerato uno dei primi testi di medicina conosciuti: un giacimento prezioso di antichi rimedi, unguenti e trattamenti. Nel libro – riporta il ‘Telegraph‘ – c’erano tutte le istruzioni per riprodurre il ‘mix’ e farne una soluzione topica da applicare sull’occhio. Si consiglia di lasciare il rimedio a purificare per 9 giorni, in infusione in un vaso d’ottone, prima del suo utilizzo. Nessuno dei ricercatori si aspettava che la pozione potesse funzionare anche nel 21esimo secolo. E sono rimasti davvero stupiti nello scoprire durante i test sui topi che non solo l’unguento può curare l’orzaiolo, un’infiammazione delle ghiandole sebacee alla base delle ciglia, ma soprattutto combattere il superbatterio.

“Eravamo davvero meravigliati dei nostri risultati – spiegano – Visto quello che accadeva negli esperimenti in laboratorio, crediamo che la ricerca medica moderna possa beneficiare anche della conoscenza del passato in gran parte contenuta negli scritti antichi anche non scientifici”.

Gli scienziati dell’Università di Nottingham hanno ricreato quattro lotti separati della pozione, ribattezzata il ‘collirio di Bald’ dal nome del manoscritto, utilizzando ogni volta gli ingredienti freschi suggeriti dalla ricetta medioevale. Nessuno dei singoli elementi (aglio, cipolla, vino e bile di stomaco di mucca) ha avuto un effetto misurabile sul batterio Mrsa, ma se combinati secondo la ricetta ne hanno cancellato sui topi usati nell’esperimento.

I ricercatori ritengono che l’effetto antibatterico della pozione medioevale sia dovuto appunto “alla combinazione” dei vari ingredienti e “al metodo di fermentazione. Ma sono necessarie ulteriori ricerche per indagare come e perché funziona”, concludono.

 Dioni aka Riccardo Lautizi

Resistenza e Liberazione - 25 aprile 2015: "Appello per l'uscita dell'Italia dalla NATO"




Era un 25 aprile di 70 anni fa.. ma quel giorno non aveva ancora
assunto le valenze ed i significati che oggi gli vengono attribuiti…
La vicinanza con gli eventi drammatici che portarono alla caduta
definitiva del fascismo, avvenuta con l’uccisione di Benito Mussolini
“attorno” al 28 aprile 1945, era troppo calda nella coscienza degli
italiani ancora divisi psicologicamente dalla sanguinosa guerra
civile.

I miei ricordi della guerra sono molto sbiaditi, anche perché quando
nacqui era quasi conclusa… ma un qualcosa la ricordo, un dialogo che
avvenne tra me e mio padre, una mattina in cui la mia curiosità
infantile sulla potenza delle armi fu soddisfatta. Chiedevo a mio
padre: “Papà cosa c’è di più potente di un fucile” – “Un cannone” – “E
più forte del cannone?” “un bombardamento aereo” – “e più forte del
bombardamento?” – “una bomba atomica” – “e più forte della bomba
atomica?” – “più forte della bomba atomica.. c’è solo la stupidità
dell’uomo”. E con ciò il discorso si concluse e compresi il
significato della guerra…

Eppure nella storia umana non sempre gli uomini in armi hanno
significato aggressione ed oppressione, a volte è successo che alcune
comunità si dovessero difendere da aggressioni esterne. Avvenne ai
primordi della civiltà, sin dalla fine del neolitico, momento in cui
le pacifiche comunità matristiche furono attaccate da orde di
guerrieri patriarcali che pian piano riuscirono a conquistare e
dominare il mondo con la forza delle armi. Certo nelle comunità
matristiche ci fu opposizione, alcuni componenti di quelle comunità
-sia uomini che donne- combatterono in difesa della loro cultura
pacifica e contro la prevaricazione maschilista. Probabilmente proprio
dal ricordo di questi combattimenti nacque la leggenda delle amazzoni,
donne combattenti di una società tutta al femminile. Ma anche
successivamente in varie situazioni si poté distinguere fra
aggressione e difesa. Da notare, ad esempio la strenua difesa della
confederazione greca che si oppose all’invasione persiana. Oppure la
difesa dei primi nuclei civili della Cina che si difendevano alle
incursioni e dalle razzie dei mongoli, fra l’altro proprio questa
pressione esterna contribuì a far nascere una coscienza nazionale
cinese.

Ed ancora della Cina antica voglio parlare. In quella civilizzazione
c’era l’usanza della coscrizione obbligatoria per la guerra di difesa
e quell’antica usanza, di creare una forza nata dal popolo, è ben
descritta in uno degli esagrammi del Libro dei Mutamenti, l’I Ching,
un testo che si fa risalire ad almeno cinquemila anni fa. Questo
esagramma si chiama Shih, che significa “esercito”. E sentite il suo
significato: “Nel grembo della terra vi è l’acqua: l’immagine
dell’Esercito. Così il nobile magnanimo verso il popolo accresce e
nutre le masse”

L’immagine dell’esagramma L’Esercito (Shih n. 7) è molto chiara
nell’indicarne il significato. Infatti nell’antichità, in virtù della
coscrizione popolare, i soldati erano presenti nella società come
l’acqua sotto la terra. Ed avendo cura della prosperità del popolo si
otteneva un esercito valoroso. Ed ancora nel commento alla prima
linea. “Un esercito deve servire in buon ordine ed armonia e per
giusta causa. Se ciò non avviene incombe sciagura”.

E ritorniamo al 25 aprile. In verità la cosiddetta “resistenza”
potrebbe essere vista una esemplificazione dell’esagramma Shih. Il
popolo, ribellandosi, aveva costituito una forza per opporsi
all’invasione tedesca. Ma non tutto è oro quel che luccica… infatti è
vero che questa forza popolare combatté contro lo straniero occupante,
non rappresentando comunque la maggioranza degli italiani, perché in
verità questa forza “partigiana” stava aiutando un’altra invasione,
quella angloamericana, che poi si affermò stabilmente ed ancora è
presente sul nostro suolo patrio, in forma di nuclei armati della
NATO.

Dal punto di vista della “sostanza” l’Italia il 25 aprile del 1945 si
liberò da una occupazione, quella nazista, pur feroce ed oppressiva,
per accollarsi quella americana che comunque ha portato con sé un
corollario di gravi sciagure – che non voglio qui menzionare per non
fare la lagna. Però una almeno la vorrei menzionare.

Con la sudditanza ai voleri NATO e con l’acquiescenza alle sue volontà
guerresche pian piano è venuta a mancare la spinta interna ed anche la
“ragione” di un esercito basato sul servizio popolare. Oggi l’esercito
è divenuto una forza mercenaria, mandata a combattere qui e lì sul
pianeta per soddisfare le esigenze degli alleati atlantici, e che
perciò non rappresenta più il “popolo italiano”.

Non sono d’accordo con il sistema corrente di delegare la “difesa
della patria” (scusate l’inadatto eufemismo) ad un esercito a tutti
gli effetti “privato” di forze prezzolate e di specialisti in
aggressione. Credo che eventuale difesa (dico “difesa”…) della nostra
terra e dei suoi abitanti non possa essere delegata a “volontari”
professionisti. E soprattutto che tale difesa e salvaguardia
dell’onore nazionale non possano risultare dalle continue guerre di
aggressione sostenute dai nostri governi e che ledono il principio
stesso costituzionale di rinuncia alla guerra.

Con le armi atomiche e chimiche di distruzione di massa, che ormai
contraddistinguono il sistema militare delle nazioni egemoni, la
presenza di un esercito mercenario è solo un invito all’aggressione. E
la presenza sul suolo patrio di basi munite di arsenali atomici e di
missili (sotto il diretto controllo alieno) non aiuterebbe
assolutamente la causa della difesa della nostra patria.

Perciò sento che in occasione di questo 25 aprile 2015 sia opportuno
chiedere al governo la totale smobilitazione delle forze armate e
l’abbandono della partecipazione alla NATO, facendo dell’Italia una
nazione neutrale pacifica e permettendo, attraverso il risparmio così
effettuato, di affrontare la corrente congiuntura economica.


Paolo D'Arpini



Petizione per l'uscita dell'Italia dalla NATO:
https://www.change.org/p/la-pace-ha-bisogno-di-te-sostieni-la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale