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Chi sono gli "ebrei"? - Sionismo, ebraismo, olocausto e karma collettivo…


Durante i vari scambi epistolari avuti con persone di diverso credo, ho notato, a parte alcuni casi rari, che si tende a giudicare e ad esprimere pareri sulla base di una “convinzione” prestabilita, non corroborata cioè da una personale ricerca sui fatti avvenuti. Sulla realtà della nascita del “problema ebraico”, a cominciare dal periodo biblico sino alla fondazione di Israele… ci si lascia guidare da emozioni, da tendenze a voler credere in una verità, già accettata in quanto tale.
Ovvio che questo tipo di atteggiamento non possa essere da me condiviso. Io mi sento una specie di San Tommaso, ho bisogno di mettere il dito nella piaga per credere.. E sono contento che questo mio “sentiero” mi abbia condotto a scoprire alcune verità scomode, sia per una parte che per l’altra, verità che dimostrano come sia importante comprendere gli eventi trattati attraverso il proprio “lume”.
Mi son trovato così in mezzo a due fuochi. A prendere i pesci in faccia da destra e da sinistra.. come si dice in gergo… Eppure ho il piacere e la soddisfazione di potermi osservare senza riscontrare macchie nel mio sentire. Mi guardo allo specchio e mi dico: “Bello o brutto, con i nei o con la pelle liscia, tu sei quel che sei, caro mio Paolo/Saul”
Saul, sì, è il nome recuperato, considerando la mia “lontana” origine ebraica.. vi ho già raccontato la storia.. e quel po’ di sangue “eletto/infetto” rimastomi nelle vene ha fatto sì che io volessi conoscere la verità su quella parte di me.. su quel pezzo di Paolo D’Arpini, nel bene e nel male….
Ricordo un proverbio che mi citavano i vecchi contadini di Calcata: “il meglio è nemico del bene”… Ed è proprio così, arrabattandoci e cercando di migliorarci agli occhi del mondo non riusciamo a percepire il bene che già c’è in noi… Ed in fondo cosa significa essere perfetti? Semplicemente essere quel che si è senza remore né rimpianti, senza cercare l’approvazione di qualcuno, perché se siamo quel che siamo
evidentemente ci compete.. Da ciò nasce spontaneità e naturalezza…
E la società umana, nella sua interezza come specie, va a rotoli, perché non può funzionare come un meccanismo, non è fatta di semplici ingranaggi e di numeri (di razze distinte)…
Allora, si può uscire -ed i miei fatti lo dimostrano- dal concetto di “razza eletta” ma si può entrarvi?
Sul merito delle conversioni all’ebraismo c’è da dire che in passato queste avvenivano, sia nel contesto dei popoli semitici (non ancora distinti) che potevano passare da un credo all’altro e comunque venivano accettati se “tornavano” all’ovile (ne abbiamo evidenze nella stessa bibbia in cui si parla di idolatri che poi tornano alla fede), sia nel periodo del primo cristianesimo, che non essendo altro che una setta ebrea si poneva comunque (diversamente dall’ebraismo ortodosso) come una fede aperta anche ai gentili… Solo più tardi ci fu una separazione netta e sia gli ebrei che i nuovi ebrei -ovvero i cristiani- trovarono più conveniente andare ognuno per la propria strada..
Comunque l’ultima grande conversione fu quella dei Kazari, attorno al 1000, che con il loro numero formarono le fila dei cosiddetti “ebrei orientali”.. che dal punto di vista “tradizionale” del “seme” non sono però dagli ortodossi accettati nel novero degli “eletti”.
Infine ci sono le propagazioni o conversioni per filiazione mista, ovvero i figli di donne ebree e gentili.. e di questi casi se ne contano a migliaia soprattutto per motivi di “economia” e “convenienza politica”.
Restando in tema di “convenienza politica” ma anche di “giustizia umana” -che non guasta- c’è da dire che non si può colpevolizzare tout court un senso di identità..
Anche noi lo abbiamo, magari più debole in quanto la nostra è una identità recente, come “italiani”. Vediamo che diversi popoli nomadi hanno mantenuto una forte identità proprio per salvaguardare la cultura nella quale sono nati e si riconoscono, come ad esempio gli zingari ma ve ne sono altri e non soltanto nomadi, magari stanziali ma rinchiusi in un ristretto ambito territoriale. Insomma voglio dire che chi nasce in una famiglia ebrea si nutre del senso di appartenenza, è un fatto culturale quasi imposto dalle condizioni esterne.. ed obbligatorio, vista la estraneazione di cui essi “soffrono” (pur volendo mantenerla) nelle società “cristiane” o “musulmane” ove la differenza viene fatta percepire più duramente.. Va da sé che dopo generazioni e generazioni il senso di differenza ed estraniamento si acuisce. E si tende a cercare rivalse morali, intellettuali od economiche… Non dimentichiamo che in simili condizioni “di diversità congenita” sono nati i più grandi geni dell’umanità e qui non mi riferisco solo agli ebrei ma a tutti coloro che hanno dovuto, per una ragione o per l’altra, vivere ai margini o addirittura rinnegare la famiglia e la comunità in cui sono nati.
Insomma non vorrei che l’appartenenza alla cultura ebraica fosse considerata di per sé motivo di giudizio negativo. Personalmente ho conosciuto decine di ebrei, in ogni ambito culturale e spirituale, e li ho sempre trovati degni di fiducia e ragionevoli interlocutori. Certo anch’io mi ponevo verso di loro con lo stesso atteggiamento.. Per cui direi che spesso le situazioni di attrito contribuiscono a scatenare divisioni, rancori e vendette di ogni sorta.
Ora parliamo dei sionisti. I sionisti essenzialmente si sono concentrati in Israele, appoggiati però dalla sponda sionista americana. Il sionismo è nato avendo in mente la fondazione di Israele. Siccome la conquista di quel territorio è avvenuta e mantenuta con la forza, nella condizione di continua conflittualità (per conservare le posizioni raggiunte) si tende a indurire il cuore ed a non considerare i diritti dell’altro… Questo avviene in ogni conquista territoriale, guardate la conquista delle Americhe a tutto scapito delle popolazioni autoctone, o guardate ogni altra invasione in cui sempre il conquistatore tende a cancellare la cultura degli sconfitti (nonché le persone fisiche che la incarnano) per sostituirla con la propria..
Questa posizione dal punto di vista psicologico è chiamata “sacralizzazione della colpa”. La colpa viene resa nobile e degna.. insomma si gira la frittata ed in tal modo si cerca di pacificare il proprio animo derelitto, consapevole del male commesso.. giustificando il male e chiamandolo bene (magari per i propri confratelli, non importa…).
Mi sa che sto allontanandomi troppo dal discorso iniziale, comunque ribadisco, come affermato in precedenza, che usare discriminazione ed oculatezza nel giudizio è un esercizio che favorisce la crescita dell’intelligenza….. “Dio non saprà riconoscere i suoi…” saprà riconoscere però il nostro senso di giustizia e di equanimità.
E per equanimità e giustizia riporto di seguito alcuni pareri “parole” “sentimenti” che non avevo riportato prima, li avevo tenuti, come suol dirsi, in un cassetto.. in attesa di trovare il momento giusto per l’esposizione.. Ed ora che non temo più ritorsioni (in quanto la mia posizione mediana si è stabilita).. eccoli a voi, in ordine sparso e senza menzionare gli autori (sono idee provenienti dall’akasha collettiva):
“L’argomento è ed è sempre stato di grande attualità ma la trattazione necessità di forte cognizione, critica e storica. Condivido la posizione di Paolo. Personalmente, non credo che il “fatto dell’olocausto” ed il concetto giuridico-umanistico della “libertà di pensiero” siano unitamente discorribili in termini di connessione e complementarietà. In un contesto culturale e sociale, quale quello attuale, i due concetti restano e dovrebbero rimanere ben distinti. Dacché, a mio modesto avviso, il “dramma dell’olocausto” resta un “fatto” comunque incontrovertibile e, “di fatto”, innegabilmente testimoniato, non vedo come ed in che misura “la libertà”, quale astrazione idealistica del pensiero, possa essere disinteressatamente espressa senza scontrarsi con l’altrui libertà –politica o sociale- di non ricevere il prodotto di un concetto non generalmente ancora condiviso e soprattutto accertato…”
“In prevalenza gli attacchi alla Chiesa vengono da circoli sionisti e mondialisti che hanno interesse, in una prospettiva mondialista futura di Governo mondiale, di far sì che tutte le religioni siano ridimensionate e ridotte a manifestazioni più che altro “folcloristiche”. Il Vaticano in primis, visto che la sua estensione e le sue interessenze lo configurano anche come un “potere” ed una forza economica fastidiosa e da ridimensionare. Che la Chiesa e il Vaticano abbiano il fatto loro mi può anche star bene, ma teniamo anche presente a chi questo fa ancor più comodo…”
Ebrei conversi? Cristo “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Noi qui non scriviamo per suscitare odio verso gli ebrei, ma – nel silenzio mediatico che condona la loro paranoia – per mostrare in piena luce la loro patologia (ben dimostrata dal Muro in Palestina, dalle 300 bombe atomiche accumulate, dall’oppressione ferocissima sui palestinesi), nella speranza che “si convertano”. Se non altro, si convertano alla comune umanità, sentendosi parte corresponsabile della normale famiglia umana, come già fanno alcuni di loro: Uri Avneri, Norman Finkelstein, eccetera….”
“Come ho già scritto più volte, negare la volontà (e la prassi) nazista di sterminio degli ebrei è completamente inane, e rasenta la follia. Si chiedono i “documenti”. CE NE SONO UNA MAREA (NERA) e l’evidenza è impressionante. Certo si può negare anche questa, chiudere gli occhi con un lucchetto. Ma allora, poi, non ci si venga a lamentare della “religione” (e relativa laida industria) dell’”Olocausto”. La quale esiste senz’altro, ma a cui non se ne può contrapporre un’altra di segno contrario. BASTA, a 360°, con l’attitudine fideista. Si studi liberamente e senza pre-giudizi anche questo periodo atroce del secolo scorso. L’”elezione” è un puro delirio, ogni appartenente alla sottospecie Homo sapiens sapiens (congolese, ebreo, palestinese, iracheno, cinese, ucraino, maori…) possiede lo stesso diritto alla vita. Le sofferenze degli uni non hanno meno valore di quelle degli altri. E, soprattutto, non autorizzano nessuno a infliggerne ad altri ancora”
“…ognuno deve seguire la propria “equazione personale”. La verità, nella nostra epoca, NON può trionfare. E’ perciò che mi limito a parlare di testimonianza. Quanto alla morte, quella spetta a tutti, prima o poi.”
“..i sionisti, dopo le atrocità ed i crimini commessi ai danni del popolo palestinese negli ultimi anni, chiederanno al mondo intero il 27 gennaio – in occasione dell’anniversario della “Giornata della Memoria” – di commemorare la Shoah e celebrare quel tanto osannato valore (unilateralmente) condiviso del ricordo di un – sì – terribile genocidio le cui vittime – però – non valgono certamente né più, né meno degli indifesi caduti del recente brutale assassinio che si consuma tuttora nella Striscia di Gaza..”
“..al di là della condivisione sulla descrizione dei concetti, delle strategie e dei fatti citati, ciò su cui non concordo è l’uso dell’aggettivo “ebraico” che, a mio modesto parere, andrebbe (possibilmente OVUNQUE) sostituito con l’aggettivo “sionista” e questo non tanto perché io pensi che l’etica ebraica non abbia responsabilità per non aver chiarito in passato la differenza di posizioni quanto perché oggi esiste un certo numero di organizzazioni di ebrei ortodossi (veri RELIGIOSI), tra cui la Neturei Karta, che affermano con forza che “gli ebrei non sono sionisti ed i sionisti non sono ebrei” e non solo fanno una distinzione teorica ma anche, in pratica, manifestano pubblicamente (a prezzo della loro stessa incolumità fisica) queste posizioni, presso le sedi istituzionali sioniste. Non dimentichiamo che “sion” ha come radice “senà” traducibile come “odio” universale (cioè verso tutto il mondo che non è aderente al Talmud, alla Ghemarà, alla Mishnà, allo Shermonè Ezrè che sono delle successive manipolazioni degenerative del messaggio biblico iniziale, per intenderci il Vecchio Testamento. Se consideriamo che il sionismo è un progetto politico che non ha molto a che fare con l’etica religiosa (con NESSUNA etica religiosa) è logico capire che si è meno attaccabili dai debunker se si indica il VERO responsabile (chi vuole nascondersi dietro la foglia di fico del razzismo diretto contro i semiti e della persecuzione religiosa contro gli ebrei)”
“Il progetto, anche religioso, di dominio mondiale non inizia e non finisce con il sionismo o comunque non è solo sionista. Ora se è pur vero che ci sono tantissimi ebrei che non possono essere catalogati con i loro correligionari “lovercraftiani”, è anche vero che l’esperienza mi dice di andarci molto cauto. Perché ci sono delle costanti, delle attitudini, delle peculiarità particolari e irripetibili nel popolo ebraico che lo distinguono dagli altri. Non è infatti un caso che il concetto di razza eletta è uscito dalla bibbia. Gli ebrei inoltre non tendono alle conversioni, vivono da secoli in una specie di segregazione religiosa, gelosi dei lori dogmi, riti, e leggi. Certo ci sono tanti ebrei che se ne fregano ed escono fuori da queste catene religiose, ma sarà un caso, l’esperienza ha dimostrato, e gli stessi ebrei lo affermano decisamente, che non per questo, costui smette di essere ebreo…”
“..come si può affermare che per un piccolo numero d´uomini, che per breve tempo abitarono quella regione, sia possibile ricostruire la mappa genetica come costoro sostengono per se stessi, così auto definendosi “razza”… e tutto questo proprio quando la moderna biologia dimostra che questo concetto è falso. Allora, reale concetto, i “razzisti” e sostenitori della razza sono proprio loro! Il popolo della kippah vive e si nutre di menzogne che spaccia per culturali, e per questo tenta di distruggere la storia dei palestinesi, oltre che fisicamente massacrarli per farli da quelle latitudini sparire…”
“…Anche se siamo nell’errore, questo non ci vieta di dire quello che sentiamo. Se io penso che tu stai sbagliando e vengo aggredito dal sentimento della giustizia, per evitare di cadere nell’errore dell’arroganza ti devo dire che stai sbagliando, che non sei giusto, che non mi cerchi o che non ami i fratelli. Ma devo esprimere il mio pensiero con calma, dire quello che sento, la sensazione e il sentimento che provo. Posso dirti che secondo me stai sbagliando, che tu non stai facendo una cosa giusta. Però te lo dico con amore e ti bacio…”
Ecco, vedete un po’ se così va bene… baci a voi!
Paolo D’Arpini

Il gioco della Vita... dall'inorganico a Dio e dal credere all'Essere - Spiritualità laica e conoscenza




La vita nasce dall'inorganico ma se non fosse già presente nella
materia in forma germinale come potrebbe sorgere e trasformarsi in
intelligenza e coscienza? Da ciò se ne deduce che la coscienza e
l'intelligenza sono come una "fragranza" della materia e quindi non vi
è reale separazione. La differenza è solo nella fase…. La vita è
un'espressione manifestativa della materia. Partendo da questa
considerazione generale osserviamo che la spinta evolutiva di questa
intelligenza/vita si evolve attraverso stati diversi di
consapevolezza. Nelle forme pensiero esistono gradi descrittivi della
maturità assunta da questa intelligenza. Tralasciamo per il momento
gli aspetti più vicini all'animalità, all'istinto, e prendiamo in
considerazione solo gli aspetti "spirituali" del pensiero umano.


Osserviamo che sia in occidente che in oriente vengono descritti gli
aspetti separativi e unificativi del processo mentale (solve et
coagula ovvero: "il credere è statico lo sperimentare dinamico").
In Grecia come in India si è parlato di pensiero duale e pensiero non-duale.


Nel pensiero duale (dvaita) viene inserita ogni forma cristallizzata
separativa, come il teismo e l'ateismo. Queste due categorie infatti
sono viste come sfaccettature della stessa conformazione separativa.
Il teista è colui che crede in un dio separato da sé, lo immagina in
veste di essere superiore e dotato di immensi poteri e vede se stesso
come creatura alla sua mercé . Il teista crede che la sua propria
esistenza è consequenziale e secondaria al dio. L'ateo parimenti,
crede di non credere, ovvero nega ogni sostanza all'ipotetico dio
basando il suo credo sul relativismo materialista. Il teista e l'ateo
sono arroganti affermativi della propria "verità" (presunta od
immaginata). Ovviamente entrambe queste fedi si basano sulla
piccolezza e separatezza dell'io ed abbisognano di uno sforzo continuo
e costante per affermare o negare, un tentativo frustrante che
comunque non prende in considerazione l'agente primo, l'io, se non in
forma passiva e marginale. Questo modo di pensare duale è lo stesso
sia per il religioso che per l'ateo materialista che crede in
causa-effetto o nella fortuità del caso. E' un percorso puramente
speculativo, basato comunque sul credere, sul ritenersi piccoli
elementi separati di un qualcosa che magari pian piano la scienza (o
la religione) corroborerà. Ma sappiamo che l'orizzonte è sempre più
avanti… mai raggiungibile, insomma siamo persi nel nulla…. Nel vuoto.


La fase successiva dell'auto-conoscenza si definisce non-duale
(advaita), in questo caso si inizia a tener conto del soggetto, della
coscienza attraverso la quale ogni percezione e sentimento sono
possibili, si riconosce nella consapevolezza la matrice della propria
esistenza. In questa categoria si pongono l'agnostico e lo gnostico.
Alla base della ricerca dell'agnostico si pone l'esperienza diretta ed
il superamento della concettualizzazione descrittiva. L'esperienza
empirica viene portata alle sue estreme conseguenze con il
riconoscimento della costante presenza dell'io nel processo implicato.
Viene superato così il modello del credere in verità precostituite
accettando la realtà intrinseca dello sperimentatore che esperimenta.
Per cui non si affermata assolutezza, l'agnostico esprime
sostanzialmente una spiritualità laica.


L'agnostico sa che non può esserci altra certezza che quella
dell'esperimentatore ma allo stesso tempo non vi è ancora
realizzazione definitiva. La coscienza individuale non si è fusa nella
coscienza universale benché permanga l'intuizione dell'unità
primigenia del tutto. Stando così le cose egli non può affermare, egli
dice di non sapere, la sua è una saggezza in fieri, in maturazione.
L'agnostico non può più identificarsi con un nome forma specifico ed
allo stesso tempo manca della pienezza e quindi resta equanime, non
afferma e non nega. Ma il suo costante e continuo discernimento giunge
infine ad una inaspettata e spontanea fioritura, e qui l'intelligenza
individuale si scioglie, si ottiene la conoscenza di sé, la gnosi
(jnana).


Lo gnostico non ha assolutamente bisogno di dichiarare alcunché, la
sua realizzazione è totale e definitiva, la sua presenza non è
limitata ad un nome forma, egli conosce se stesso come il tutto
inscindibile dal quale ognuno di noi proviene e risiede. Lo gnostico
né sente il bisogno né ha mezzi per esprimere la sua esperienza,
giacché il linguaggio umano è molto distante dall'esperienza diretta
del sé. Infatti prima c'è la consapevolezza del sé, poi la coscienza
dell'io individuale che assume una forma nello specchio della mente,
quindi la riflessione del pensiero ed infine la descrizione del
linguaggio parlato o scritto. Il saggio non vede differenza alcuna, sa
che la base è la stessa per ognuno (materia-spirito in continua
trasformazione), egli "conosce" che la coscienza e l'esistenza sono
inscindibili nell'assoluta unità (uno senza due). Ma la sua esperienza
-che è la comune natura di tutti- può essere riconosciuta e percepita
per spontanea simpatia dallo spirito maturo.


In questo processo a quattro fasi, fra dualismo e non-dualismo, si
manifesta tutto il gioco della vita e della coscienza.


Paolo D'Arpini


Inquisizione scientifica... la nuova frontiera dell'oscurantismo



Sono oggi disponibili nuove scoperte scientifiche in grado di cambiare
le nostre convinzioni secolarizzate, di farci vedere il funzionamento
delle cose in modo completamente diverso, a volte opposto, a quello
che abbiamo sempre dato per scontato, nuove teorie in grado di
migliorare la vita di tutti.


Abbiamo vissuto per millenni con la convinzione che la Terra fosse
piatta, che la Terra fosse il centro dell’Universo, che il sole
girasse intorno alla Terra, che l’essere umano fosse stato creato così
come lo vediamo oggi, che materia ed energia fossero cose diverse, che
l’energia elettrica non potesse essere trasportata senza fili, che
l’uomo non potesse condizionare clima e terremoti, e così via.
Se non ci fossero stati scienziati che hanno anche dato la loro stessa
vita contro l’oscurantismo delle diverse forme di inquisizione, che
sono stati isolati dalla comunità per le loro teorie, oggi vivremmo
ancora nelle caverne! Ma se ci fosse stata più apertura e libertà per
tutti noi oggi ci sarebbe stato un presente migliore.


OGGI E’ IL PRESENTE MA E’ ANCHE IL PASSATO DEL NOSTRO FUTURO.
E’ ad oggi che dobbiamo guardare, fare oggi qualcosa per realizzare il
nostro futuro. Se possiamo fare qualcosa lo possiamo fare proprio
adesso!


Oggi i più forti contrasti ci sono nel campo salute. Se qualcuno
riuscisse a curare la maggior parte delle forme di cancro senza
farmaci o senza chirurgia? Se qualcuno scoprisse che la malattia
mentale in realtà non esiste e le persone possono risolvere problemi
di natura psicologica senza psicofarmaci e senza psicoterapia ma con
interventi psicoeducativi ed informazione? Saremmo contenti realmente?
Finalmente liberi di scegliere?


Oppure le lobbyes di potere accademico, coloro che rivestono ruoli di
potere decisionale, coloro che hanno basato il proprio potere sulle
vecchie conoscenze cercherebbero di impedire l’emergere di tutto
questo? Lo scenario sarebbe quello del dibattito scientifico a pari
livello oppure sarebbe quello di un tentativo dei poteri
istituzionalizzati di censurare?


Chi ha potere avrebbe sempre l’ultima parola e l’innovazione e lo
scalpore finirebbero in un mutismo mediatico, in una omertà dei mezzi
d’informazione oppure non emergerebbero affatto. Anche le riviste
scientifiche non pubblicherebbero. Allora lo scienziato creerebbe
libri, una propria rivista, utilizzerebbe il web e convegni per poter
continuare a far vedere la verità, altri invece morirebbero civilmente
sotto cumuli di silenzio. Nel dubbio poche persone quindi si
prenderebbero a quel punto il “rischio” di scegliere diversamente da
ciò che viene proposto da chi ha sempre detenuto il potere.
A questo punto il potere istituzionalizzato utilizzerebbe la classica
frase “la comunità scientifica internazionale dice diversamente”
oppure “non ci sono pubblicazioni su riviste accreditate”, ma
accreditate sempre da chi detiene il potere!


Far emergere nuove scoperte per quei pochi che ancora hanno la voglia
e la passione di dedicarsi allo studio e alla ricerca scientifica è
davvero arduo in questo momento storico così fortemente condizionato
da gruppi di potere accademico.


Oggi le “moderne inquisizioni” sono composte dagli stessi scienziati
che però rivesto cariche di potere Accademico, politico, economico e
decisionale. Oggi la lotta è tra gli “Accademici” con i loro
protettori istituzionali e gli scienziati innovatori estranei a tali
giochi di potere.


Gli innovatori sembrano tutti ciarlatani, come se nulla potesse essere
scoperto, da professionisti e scienziati, al di fuori delle
università, delle accademie!  Se qualcuno affermasse “nessuno può
inventare nulla al di fuori di quello che noi diciamo” sarebbe un
atteggiamento scientifico, aperto o una formula inquisitoria?


Se chiunque al di fuori delle accademie contrastasse scientificamente
gli assiomi dominanti il potere istituzionalizzato oggi si vedrebbe
accusato di non essere scientifico, di essere un ciarlatano, verrebbe
censurato, sospeso o radiato dal proprio ordine professionale secondo
la nota formula dell’inquisizione che recita più o meno così: “Dato
che sui nostri testi di riferimento, c’è scritto Questo e i nostri
testi dicono la verità, chiunque affermasse o cercasse di dimostrare
il contrario, sarebbe un ciarlatano e condannabile”


La formula dell’inquisizione parte dal presupposto che nulla si può
dire o dimostrare al di fuori di quello che il conformismo scientifico
ha stabilito. Questo non è soltanto un pericolo, è una realtà sotto i
nostri occhi ma che la maggior parte di noi ignora o pensa sia un
dibattito estraneo ai propri interessi. Ma quando dobbiamo scegliere
la cura che crediamo più efficace, potremmo scegliere soltanto tra ciò
che è rimasto, tra ciò che i “luminari” accademici dicono che sia
scientifico. Di fatto avremmo soltanto l’illusione della libertà di
scegliere perché di altro non ci viene data notizia.


Contro tale forma di “moderna inquisizione” in favore della libertà di
scelta, c’è l’informazione, la comunicazione. L’informazione è la
prima forma di tutela. Se su un miliardo di persone uno soltanto
dicesse la verità? Sarebbe più facile credere ad un miliardo contro
uno! Ma volgendo lo sguardo alla storia degli scienziati innovatori
ricordiamo Nome e Cognome, perché era quell’uno su un miliardo! Questo
ci dovrebbe insegnare una sola cosa... Che non possiamo distruggere o
censurare a priori ma è necessario che ci sia libertà di scelta per
tutti (per lo scienziato, per il professionista di applicare in
scienza e coscienza ciò che ritiene utile al benessere, per ogni
persona di scegliere a chi rivolgersi). Ciò che è utile lo decide il
mercato nella sua libertà e autonomia ma chi mantiene il proprio
potere su vecchi assiomi vedrebbe così la perdita del proprio dominio
e, anziché mettersi sullo stesso livello dell’innovatore, censura
quest’ultimo, lo mette a tacere minacciando di stessa sorte chiunque
lo seguisse.





Politica, economia e spiritualità laica non possono essere scisse....


"Gioia nella libertà dai preconcetti e dalle ideologie" (Saul Arpino)


Delegare la gestione della propria esistenza ad un “governo” o ad una “chiesa” equivale ad abbandonare le proprie responsabilità basandosi sul fatto che vi sono persone, altre da noi stessi, che veramente sanno come fare a mandare avanti le cose.


Questo ovviamente vale in ogni campo dell'esistenza umana, ma per il momento lasciamo da parte l'aspetto “religioso” di questo atteggiamento “rinunciatario” e di delega all'altrui e rivolgiamo la nostra attenzione all'aspetto politico.

Un partito politico, e di conseguenza un governo, viene apparentemente fondato per il bene del popolo, ma in realtà diviene una corporazione che serve solo a se stessa.
Una amministrazione tiene le cose sotto il suo controllo e prolifera leggi di una sempre crescente complessità ed incomprensibilità. In effetti ostacola il lavoro produttivo domandando tanti rendiconti sicché il registrare quanto è stato fatto diventa più importante di quel che è stato realmente fatto. In questo modo, incrementando la burocrazia ed i cavilli, si può andare sempre più in là nell'astrazione... tuttavia nella crescente angoscia riguardante la sovrappopolazione, la massificazione culturale, la mistificazione negli interessi economici occulti, l'inquinamento e lo squilibrio ecologico, i disastri potenziali dell'incremento tecnologico militaresco, etc. soltanto di rado siamo in grado di riconoscere che i nostri governi sono diventati auto-distruttori delle istituzioni umanitarie.


I governi -come affermava Alan W. Watts- restano impantanati nel tentativo di soddisfare una sempre crescente alienazione dalla vita pratica e dalle esigenze primarie dell'uomo, soffocati e paralizzati, come sono, sotto montagne di complicazioni di bilanci e di scartoffie.


La considerazione successiva, per non dover ripetere gli errori del passato, è che né l'individuo né la società possono tirarsi fuori dalla situazione attuale in modo autonomo e facendo uso della forza. Pur che ancora oggi assistiamo ad uno svolgimento in tal senso della spinta al cambiamento sociale... Sino a quando faremo uso della forza, sia fisica che morale o religiosa, nel tentativo di migliorare noi stessi ed il mondo.. andremo in verità sprecando energia che potrebbe essere altrimenti usata per cose che realmente possono essere fatte..


Occorre cambiare il nostro approccio di vita e la considerazione della nostra partecipazione all'insieme delle cose. Nell'ecologia profonda e nella spiritualità laica c'è l'indicazione verso il recupero della fiducia in se stessi e negli altri. La nuova visione, il nuovo metodo, non può essere aggressivo e nemmeno passivo, non è un atteggiamento sentimentale. Occorre riconoscere che in alcuni casi l'uso della violenza può essere necessario.. ma sarà una violenza mite, educativa.. somigliante alla severità della madre che intende educare il figlio e non reprimerlo.


Ecologia profonda e spiritualità laica, attuate nel campo della politica e dell'amministrazione della cosa pubblica, conducono non alla soddisfazione di cieche rivalse popolari, non all'attuazione di una “giustizia livellatrice”, bensì a favore della “generosità umana”. Che non è semplice benevolenza e perdono, come si potrebbe supporre, ma il mantenimento dell'onestà e delle qualità “umane” nella loro pienezza. Come diceva Ezra Pound: “L'onestà è la ricchezza di una nazione”.


L'equilibrata severità e correttezza, che potremmo definire in termini matristici “intelligenza minervina”, richiede una grande capacità discriminativa e la strada verso di essa è difficile da raggiungere, abituati come siamo a delegare alla giustizia esterna (governativa e religiosa) ogni funzione emendatrice.


Perciò se un uomo integro cerca di raggiungere la maturazione spirituale e politica dovrà necessariamente riscattarsi da ogni modello coercitivo attualmente presente nella società. Non possiamo però chiamare questo processo “anarchia” in quanto si presuppone un indirizzo definito rivolto al “bene comune”. Non più misurando le cose attraverso il modello della giustizia “dei codicilli” ma portando l'umano al suo massimo livello di responsabilità. In cui le azioni non sono conseguenti a corsi precostituiti o tabù, le contingenze e la saggezza ed onestà acquisita indicano al momento quale sia la cosa giusta da fare.


In altre parole un essere umano consapevole di appartenere ad un contesto vitale e spirituale inscindibile non ha bisogno di incarnare modelli prefissati di “rettitudine”, non è un “buonista”, e nemmeno un presuntuoso, un pedante, ma riconosce che possono avvenire alcuni errori nel perseguimento della genuina natura umana. Gli errori -se non ripetuti- sono il sale della vita. Sono l'indicazione del retto percorso da seguire.


Infatti chi si maschera da ligio osservante delle leggi è un ipocrita ed un falso uomo pubblico (sia in senso politico che religioso), invero è completamente privo di “umorismo”, non sa ridere di se stesso e degli altri ed allo stesso modo, e non lascia che la sua natura umana possa completarsi e giungere a maturazione. Egli, meschinello, si ferma alla “forma” e di conseguenza è condannato a trasgredire anche quella (forse in segreto) restando inconsciamente legato alle proprie ombre. Un legalista sarà semplicemente un ficcanaso ed un acquisitore di “meriti presunti”, sulla base della sua adesione ad una fede politica o religiosa. Chi basa la giustizia sulla rigorosa sottomissione a regolamentazioni lineari non sarà mai in grado di percepire la verità dietro le forme. Questi ipotetici buoni governanti, così seri e riguardosi dei loro giusti principi (o peggio ancora dei loro sordidi interessi) giustificano ogni iniquità con la forza dalle ragioni politiche o religiose. Poveretti, non saranno mai in grado di godere di un sano “spirito” libero e laico, assai meno nocivo della loro sudditanza all'ideologia (o peggio ancora all'interesse).


Ed una una delle peggiori ideologie, in questo momento storico, è quella relativa al concetto di “utile” e di “guadagno”, che persino supera ogni altra convinzione politica e religiosa.. ed è in nome dell'utile e del guadagno che la società umana va sprofondando verso la perdita dell'anima e della capacità d'intendere e di volere. Questa ideologia, chiamiamola pure “bancaria”, così amata dai ragionieri della vita, rischia di forzare sempre più l'uomo in direzione della rinuncia ad ogni umanità e capacità discriminante. E con la perdita dell'intelligenza subentra anche la perdita della capacità di sopravvivenza della specie umana. 

Paolo D'Arpini



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Di questo e simili temi se ne parla a Treia, durante il convegno "Riciclaggio della Memoria" che si tiene il 31 ottobre 2014 presso la sala consiliare del Comune, alle h. 17:
http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2014/10/treia-31-ottobre-2014-messaggio.html


Sessualità ecologica, società umana e spiritualità laica



Osservando ciò che avviene in natura e fra gli animali e osservando le
pulsioni naturali dell’uomo non possiamo far a meno di trovare
similitudini comportamentali, soprattutto nella sfera sessuale. La
sessualità nell’uomo è un potente motore che ci spinge verso una
specifica direzione….  Ma la sessualità è anche cultura, è anche fonte
di ricerca spirituale. Infatti nella tradizione tantrica indiana la
sessualità è il mezzo attraverso cui compiere il percorso di risalita
verso la coscienza unitaria. Anche nel misticismo devozionale l'estasi
è la risultanza di una forte concentrazione "sessuale".    Cercando di
trovare una sintesi fra ciò che è spontaneo e naturale e ciò che fa
parte delle aspettative o  consuetudini sociali è necessario  andare
alla scoperta di una “sessualità ecologica o laica” nella quale tutti
riconoscerci.

Soprattutto in questo momento storico in cui il sesso è vissuto e
pensato come modo d’interscambio sociale ed economico assaporiamo solo
 un arido amore funzionale. Al contrario nella corresponsione
indifferenziata si riporta l’uomo alla sua pienezza, lontano
dall’inquinamento dell’uso. Infatti far sesso è molto facile, molto
meno conservare il cuore integro assieme alla consapevolezza della
appartenenza all’unità.

Per ottenere un risultato soddisfacente nella nostra ricerca dobbiamo
innanzi tutto compiere una operazione di distacco e discernimento.
Osservando le pulsioni primordiali senza cadere nella trappola
identificativa con esse. Malgrado appaia che l’uomo abbia ogni cosa
nelle sue mani in effetti non  è così. Il fatto è che se non
sentissimo che stiamo compiendo qualcosa di nostro non avremmo
soddisfazione nell’agire. Se non pensassimo “ora voglio far questo..”
non proveremmo alcun piacere dalle nostre azioni.  Così pensiamo di
essere noi a decidere. La forza che ci spinge all’azione, chiamatela
natura, mente, Dio, energia vitale o qualsiasi nome, ci fa muovere a
nostra insaputa. Possiamo indicare l’azione compiuta come “nostra”
solo dopo che essa è avvenuta. Ma se così non fosse, ovvero se non
sentissimo di essere noi gli artefici, non vorremmo portare nulla a
compimento.

Ed allora come  essere liberi dal senso dell’io e del mio?

E qui riportiamo l'attenzione al desiderio più impellente quello che
spinge l'uomo e la donna a congiungersi carnalmente per soddisfare un
bisogno fisiologico e mentale, con lo scopo di perdere almeno per un
momento la coscienza di sé, in quanto agente, e fondersi nell'altro.
L'osservazione di questo processo è l'unica strada che ci resta aperta
per individuare il confine tra libera scelta e destino, fra schiavitù
e libertà....

Possiamo così toccare la meraviglia dell'esistenza in chiave
naturalistica e giungere alla riscoperta consapevole  della sacralità
della natura!   E cosa è quest’ultima  se non  la visione spirituale
di tutti coloro che si sentono parte indivisa della coscienza  e del
cosmo?  Correttamente parlando questa “coscienza universale”  (comune
a tutti) non è il risultato di una religione   ma  un moto spontaneo
interiore dell’uomo per  integrarsi nella natura  e con sé stessi.

Gli animali godono di una spontanea gioia nel loro esistere e
manifestarsi ma mancano della consapevolezza, l'uomo ha il "dovere" di
compire l'atto di ricongiungimento con la matrice universale
attraverso la piena consapevolezza di Sé.


Paolo D'Arpini





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Di questo e simili temi se ne parlerà durante la Tavola Rotonda "Riciclaggio della Memoria" che si tiene a Treia il 31 ottobre 2014:
https://circolovegetarianotreia.wordpress.com/2014/09/18/riciclaggio-della-memoria-a-treia-31-ottobre-2014-programma/

Il computo del tempo - Yuga dopo yuga è solo un "continuum".......


Il computo del tempo (la nascita del calendario) è un’operazione puramente convenzionale basata sull’idea di voler fornire continuità ad un evento ritenuto particolarmente importante per una data civiltà che -da quel momento- sancisce la sua fioritura. Sappiamo infatti che sono esistiti ed esistono vari calendari, ognuno con un suo particolare inizio. Alcuni inizi sono stati più significativi e sono perdurati nei secoli altri invece sono stati effimeri e si sono esauriti dopo breve tempo, basti pensare ad esempio al calendario fascista.. che durò pochi decenni.
Nell’antichità remota  l’uomo riconosceva la vita come un continuum, senza apparente inizio né fine, il calcolo del passaggio del tempo era immaginato su una scala ellittica che ripeteva cicli e stagioni secondo un ordine stabilito dalla natura. Pertanto il calendario non aveva un vero e proprio inizio bensì manteneva la funzione descrittrice dei cicli naturali ripetentesi – sia pur con variazioni comunque lentissime – (vedasi i tempi delle glaciazioni e delle inter-glaciazioni). Questo calendario “circolare” era assolutamente utile per la conoscenza di quanto andava avvenendo sulla terra e per la regolamentazione delle azioni opportune, i momenti ottimali per compiere determinati atti (semina, viaggi, feste, etc.). In questo sistema quindi si considerava il tempo come una sorte di flusso permanente in cui si riproponevano situazioni derivate dalla natura e -come avviene osservando lo svolgersi ripetitivo della vita animale e vegetale- magari basate su differenti stadi e situazioni di un Essere onnicomprensivo chiamato “Madre Terra”.
Ovviamente con l’andare del tempo, con l’affermarsi di civiltà teocratiche e di imperi, oppure iniziandosi a stabilire l’insorgere di popoli e di nazioni ecco che subentrò l’abitudine di dare un inizio specifico al tempo, da quel momento il computo divenne “lineare”. Ma -come dicevamo sopra- di inizi ce ne furono parecchi ed ognuno in concorrenza con l’altro… Sicuramente il più antico calendario ancora in vigore è quello indiano che si fa risalire a molte migliaia di anni fa, ma il sistema indiano è basato su epoche (yuga) che ritornano ed ogni epoca ha la durata di migliaia di anni. Possiamo vedere che alcuni calendari, pur anch’essi alquanto antichi, -ad esempio quello egiziano o sumero-babilonese- pian piano scomparirono con il raffreddarsi degli stimoli e dell’influenza politica e culturale dei suoi fondatori. Il calendario ebraico in qualche modo è rimasto, pur essendo uno dei più recenti del mondo antico per due sostanziali motivi. Il primo è che tale calendario è basato su una immaginaria creazione del mondo, avvenuta il 6 ottobre 3761, che in verità corrisponde alla nascita del concetto di appartenenza ad uno specifico popolo (appunto quello ebraico), che mantenne nei secoli la sua identità attraverso la compattezza delle proprie caratteristiche genetiche (gli ebrei sono solo ebrei e non si mescolano con altre etnie). Il secondo motivo sta nel fatto che questo calendario fu mantenuto, sia pur revisionandolo con un nuovo inizio, dalla “cultura” successiva definita cristiana.
Ma lasciamo per un momento da parte le connivenze di genere fra ebrei e cristiani e cerchiamo invece di capire come un calendario venga stabilito. Ad esempio il calendario ciclico lunare cinese, basato su un semplice calcolo circolare di commistione fra cinque elementi primordiali e dodici archetipi psichici, si fa risalire (per modo di dire perché a quel tempo ed in quel luogo non conoscevano nemmeno l’esistenza della Palestina) all’anno 2.637 avanti Cristo. Il fatto che, come viene riferito dalle cronache storiche- il momento di inizio corrispondesse al 61° anno del suo fondatore, l’imperatore Huang, e siccome un ciclo completo (che tocca i 5 elementi ed i dodici archetipi) è esattamente di 60 anni (12 x 5), possiamo supporre che quell’inizio fosse conseguente alla consapevolezza che antecedenti inizi c’erano stati in passato (seguendone innumerevoli altri). Infatti per stabilire un inizio in un calendario circolare ovviamente bisogna essere coscienti che si è già all’interno di una sequenza.. quindi quell’inizio è solo un pro-forma per “dare valore e sostanza pratica” al calendario prescelto. Un particolare interessante del calendario cinese è che esso è basato su una serie di ruote o ingranaggi contigui e affini, ma sempre più grandi.. Non volendo scendere né salire troppo dirò che il giorno è come una ruota suddivisa in dodici periodi minori, chiamiamoli “denti” o segmenti di un piccolo ingranaggio, questo ingranaggio va poi a congiungersi (per moto proprio) al successivo “insieme temporale” definito mese lunare che a sua volta contribuisce a creare un anno, l’anno diviene il “dodecennale” che, congiunto ai diversi archetipi, si addentella al successivo ciclo dei 60 anni e che a sua volta forma nuovi cicli sempre più grandi e duraturi… il tutto posizionato lungo una spirale eterna. Insomma provate ad immaginare gli ingranaggi di un enorme orologio dal più piccolo al più grande continuamente e costantemente collegati e ripetentesi nei vari processi (so che non è facile immaginarselo poiché è un’idea alla quale non siamo abituati..). Ma quello che volevo significare con questo discorso è che l’imperatore Huang stabilì in modo formale e convenzionale, in forma di inizio, un calendario che evidentemente era in auge già da tempo immemorabile in quella parte del mondo (infatti il calendario archetipale “cinese” è accettato e usato in tutto l’estremo oriente, dalla Siberia alla Mongolia, dalla Cina al Giappone, etc.).
Torniamo ora al calcolo lineare e soprattutto alla considerazione sull’ipotetico inizio del nostro calendario cristiano. Ma prima di arrivarci esaminiamo il calendario in vigore durante i primi secoli della così detta “era cristiana”. Roma fu fondata, si dice, nell’anno 753 a.C., il dubbio è d’obbligo poiché come abbiamo visto nel caso del calendario cinese anche Roma doveva pre-esistere per poter far dire ai suoi abitanti che era stata fondata… Insomma nel 753 a.C. Quelli che poi saranno i romani decisero che Roma era ufficialmente nata e da qual momento nacque anche il calendario dell’era Romana… Sia pur con quell’inizio anche per i romani il calendario era originariamente un mezzo “circolare” per calcolare gli atti sacrali e mondani che contraddistinguevano la vita sociale, infatti esiste un antico calendario romano di cui una edizione ci è stata tramandata, l’autore della quale “sarebbe” un tal Dionysus Petavius. E qui vediamo che già il nome lascia trapelare qualcosa… Dioniso è il remotissimo Dio identificabile con Shiva che appartiene alla tradizione ancestrale indoeuropea e petavius (dal sanscrito peta) significa antenato. Perciò è facile dedurre che si tratta di un calendario tramandato da illo tempore e poi “codificato” ufficialmente con la “fondazione” di Roma. Ed ora consideriamo cosa avvenne attorno all’anno mille di Roma, in quel periodo stavano maturando due fatti contigui e consequenziali. Roma in seguito all’espansione imperiale ed al mescolamento continuo delle culture aveva perso gran parte delle sue tradizioni ancestrali, le religioni all’interno dell’impero erano molteplici e spesso in contraddizione e conflitto tra loro.. Il potere romano aveva cercato di unificare politicamente le varie popolazioni d’Europa, d’Africa e d’Asia, che facevano parte dei suoi sconfinati domini, attraverso l’imposizione di una unità amministrativa politica e militare lasciando però -per ammorbidire la stretta- ampia libertà di culto religioso e di usi e costumi ai vari popoli.
Durante il terzo secolo d. C., corrispondente all’anno 1000 di Roma, era andato consolidandosi un culto di origine ebraica, derivato dalla setta degli Esseni, che a differenza della tradizione giudea accettava i convertiti al suo interno, senza che questi dovessero necessariamente essere di origine ebraica. Questo nuovo metodo favorì grandemente lo sviluppo della nascente nuova religione nell’Impero, soprattutto presso le classi povere, poiché fra i primi cristiani -come tra gli ebrei e tra gli esseni- vigeva la pratica della mutua assistenza e solidarietà fra correligionari (lo stesso antico metodo di mafia ed affini). Con l’impoverimento progressivo delle popolazioni e la disgregazione del potere temporale, l’unico legante che univa il mondo romano fu la condivisione del nuovo credo religioso, da quel momento definito “cristianesimo”…. Si noti bene che il cristianesimo prese ad avere la diffusione più virulenta attorno all’anno mille di Roma (da qui l’idea successivamente riportata anche in epoca medioevale di mille e non più mille). Si fa inoltre presente che all’epoca del Concilio di Nicea (nel 325 d.C. anno di Roma 1078) ancora non si sapeva o poteva indicare una data certa sull’ipotetica nascita di Cristo… E la partenza ufficiale del nuovo calendario cristiano avvenne non prima del V o VI secolo d. C. allorché si stabilì una data convenzionale per la nascita del Cristo fissandola appunto al 753° anno dalla fondazione di Roma (corrispondente all’anno 1 della nuova era). Successivamente essendo crollata la potenza temporale di Roma nel mondo conosciuto rimase il suo primato religioso in forma di cristianesimo con il nuovo calendario. Tra l’altro questo calendario servì enormemente all’espansione ed affermazione del cristianesimo, ponendosi come legante comunitario riconosciuto anche presso le nuove popolazioni barbariche che pian piano occupavano i confini dell’ex impero o presso i nuovi stati che sorgevano oltre quei confini, ad oriente….. Insomma il calendario cristiano era ed è tutt’ora -come fu il latino in precedenza e come è l’inglese oggi nel mondo- un elemento di coesione e di imposizione di una cultura. Infatti il calendario cristiano viene oggi utilizzato per consuetudine in tutto il mondo (anche nei paesi non cristiani che sono per altro la maggioranza).
Ma i calendari sono cambiati per le civiltà antiche cambieranno ancora, non c’è dubbio,
Quale sarà il nuovo calendario per l’umanità dei millenni avvenire? Forse l’identità con l’esistenza stessa della vita sulla terra riporterà l’umanità alla considerazione del tempo circolare e magari per i calendari futuri non sarà più necessario che vadano avanti coi numeri a partire da….. per finire non si sa quando, potranno cambiare -ad esempio come avviene in India- con l’avvento di ogni yuga… yuga dopo yuga.. sempre lo stesso tempo è….
Paolo D'Arpini