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La memoria di Treia... e la cucina di nonna Annetta

Ho scritto questa memoria alcuni anni fa, seguendo l'idea di Antonella e quindi è indirizzata a lei, ma spero che anche altri ci si possano “ritrovare”, almeno in parte, nello spirito......

Ho scritto questa memoria alcuni fa, seguendo l'idea di Antonella e quindi è indirizzata a lei, ma spero che anche altri ci si possano “ritrovare”, almeno in parte, nello spirito......
 
Cara Antonella, mia nonna ricorre spesso nei miei pensieri in questi mesi: l'ultima volta che siamo stati a Treia con Paolo siamo andati a fare una visita al locale cimitero e. dopo essere stati dai miei genitori ai quali l'ho presentato come il mio fidanzato, siamo stati anche dai miei nonni materni, Anna e Vittorio. 
Lui è morto molto giovane, 31 o 32 anni al massimo, lasciando vedova mia nonna, 36 anni (6 anni più di lui) altrimenti nominata "Annetta", con una figlia, mia madre, di appena due mesi. Già da questo inizio, cara Antonella, ti puoi immaginare che la vita di mia nonna non è stata semplice. Dopo il parto, poi, aveva avuto le febbri puerperali e quindi aveva dovuto "abbandonare" mia madre nelle mani di una balia, amorevole si, tanto che mia madre (Gina), quando mia nonna è andata per riprendersela, a circa un anno (?) non ne voleva sapere di andarsene da lì, ma pur sempre una balia.
Io, come molti figli "ingrati", ho sempre incolpato mia madre di scarsa affettuosità nei miei confronti, ma negli ultimi anni l'avevo un po' "perdonata" pensando all'infanzia che deve aver passato, senza padre e con una madre giovane vedova, infanzia di cui lei comunque non si è mai lamentata, anzi, lei ha sempre adorato sua madre, mia nonna e se raccontava qualche episodio della sua infanzia erano esclusivamente ricordi felici.
Mia nonna era nata nel 1898, a detta di Paolo, anno del Cane (e quindi da lei avrò pur preso qualcosa), mentre mia madre era del 1932 (anche lei Scimmia) e Paolo è un altro Scimmiotto (1944).
Erano 9 tra fratelli e sorelle. Io non li ricordo tutti neanche nel nome. Alcuni erano morti da piccoli, alcuni altri sono emigrati in Argentina e di questi se ne erano perse le tracce, i rimanenti erano, oltre mia nonna, due fratelli più piccoli (Antonio - Antò- e Giuseppe - Peppe) e una sorella più grande, Maria (Mari'). Questi li ricordo tutti bene. So che lei, essendo rimasta in casa più a lungo dell'altra sorella (mia nonna si era sposata a 35 anni) aveva fatto un po' da "servetta" ai fratelli curandoli amorevolmente fino a quando non si erano sposati, tutti e tre in tarda età (specialmente mia nonna) e quando in estate mi trasferivo a Treia per tre mesi con lei, sulla credenza c'erano sempre e specialmente il martedì, giorno di mercato, il ciambellone e il vermouth, per accogliere degnamente i fratelli e i nipoti in visita, dato che, mentre noi stavamo in paese, nella casa che accoglierà a breve Paolo, gli altri facevano i contadini e vivevano nelle campagne circostanti. 
Era una gran festa per mia nonna ricevere i suoi fratelli, si volevano veramente una gran bene ed era commovente vederli abbracciarsi, baciarsi e ridere insieme. Mia nonna aveva una pancia molto voluminosa e quando rideva questa pancia sembrava si animasse, ballava con lei.................... 
Dopo la morte di mio nonno e il "recupero" della figlia mia nonna si dovette rimboccare le maniche ed trovò un lavoro da "governante" presso un uomo che aveva fatto i soldi emigrando in Argentina. Non so in seguito a quale incidente o malattia aveva perso una gamba (aveva la gamba di legno, anzi , ne aveva due, una per i giorni normali ed una per i giorni di festa) ed era tornato in Italia, ad Appignano, un paesino vicino a Treia ma ancora più piccolo (e meno bello). Aveva bisogno di chi lo accudisse , mia nonna aveva bisogno di lavorare e così lei si trasferì con la piccola "Ginetta" in quel paesino, famoso per la produzione di cocci e coccetti, terrecotte anche di piccolissime dimensioni con cui ho sempre giocato anche io da bambina e per le fabbriche di mobili.
Lui si chiamava Giacomo Andreani  , detto "Andrià":era un uomo burbero,  ma generoso e mia madre era una bimbetta che sapeva farsi voler bene (come tutte le Scimmie); lui la teneva sulle ginocchia e forse le raccontava le storie della sua gioventù.
Quando morì lasciò a mia nonna del denaro con cui lei acquistò la casa di Treia, dove si trasferì e dove mia madre visse la sua giovinezza. 
La casa era su due piani abitabili, venne acquistata in blocco dalle due sorelle Annetta e Marì, indivisa (la divisione fu fatta successivamente alla loro morte dai figli, cose di eredità) un piano lo abitò mia nonna e il piano superiore sua sorella.
Ma ecco che ricominciavano i problemi economici per la piccola famiglia, allora mia nonna si trasformò in "pensionante", cioè affittava le stanze ai "forestieri" fino anche a cedere il suo letto a gente che veniva da fuori per lavoro, tra cui preti e professori. Lei si arrangiava a volte a dormire su una grande e dura cassapanca, che ora, dopo essere stata restaurata e lucidata, fa bella mostra di sé nel mio soggiorno a Spilamberto. Prima era passata da Bologna, dalla casa dove vivevo con il padre di Viola, e quando mi sono separata e me ne sono andata è stato l'unico mobile che ho voluto portare via con me.
Mia madre ricordava quello come un bel periodo della sua vita, in mezzo a gente da cui imparò ad amare la lettura e , nella sua semplicità, una certa cultura.
E mia nonna cucinava e cucinava............. 
E cucinando cucinando ha trasferito la sua attività da Treia a Roma, seguendo mia madre che nel frattempo si era sposata con mio padre. Chissà se ha sofferto nel lasciare il suo paese e i suoi fratelli! Forse la consolava il pensiero che, comunque, era previsto e così è stato finchè è vissuta, che la bella stagione lei la passava comunque a Treia con me, che dopo due anni sono venuta al mondo.
A proposito di cucina le sue specialità, che sono poi le specialità della sua zona di origine erano:
vincisgrassi, una sorta di lasagne con un sugo di carne particolare, come è il sugo di carne alla marchigiana, cioè con carne di manzo e odori (cipolla e poco altro) a pezzi e non tritati come nel ragù alla bolognese (la specialità dell'altra mia nonna, ma questa è un'altra storia, meno conosciuta da me e meno variegata),
gnocchi di patate, con il solito sugo di carne (questi li faceva altrettanto buoni, se non addirittura migliori, mia zia Augusta, una cugina di mia madre, figlia di quella zia Marì),
ravioli di ricotta,
tagliatelle (entrambi col solito sugo),tagliolini in brodo........
Quanto mi piaceva vederle fabbricare con perizia e precisione quei manicaretti! 
Per i ravioli faceva la sfoglia rigorosamente a mano sul tagliere col mattarello, poi la tagliava a quadri, metteva al centro di ognuno un mucchietto di ripieno fatto con ricotta di pecora, parmigiano, uova, sale e un po', se non ricordo male, di noce moscata. Ogni riquadro veniva ripiegato in due a forma di rettangolo e per chiudere meglio i bordi veniva usato un ditale, premuto in quattro punti con la precisione di una macchinetta.  La festa continuava per me che ero addetta alla ripulitura con le dita della ciotola in cui era stato il ripieno... che dopo il mio intervento riluceva come appena uscita da una lavastoviglie.
I tagliolini  erano l'apoteosi della precisione: dopo aver fatto la sfoglia ed averla fatta un po' asciugare, veniva arrotolata stretta e un po' schiacciata e poi, tenuta ferma con la mano sinistra, con la destra armata di un coltello con la giusta affilatura veniva "affettata" come un salame con un ritmo cadenzato e regolare che produceva un rumore che ancora mi risuona, dopo più di 40 anni, nelle orecchie: "zum! zum! zum! ......" ed ogni 10 - 15 tagli, la sfoglia affettata veniva aperta a formare dei nidi che poi venivano lasciati sul tagliere ad asciugare. La misura del taglio veniva data dalle dita della mano sinistra sfiorate ogni volta da quel coltello affilato ed io tutte le volte mi domandavo, tra me e me: "Ma come fa a non tagliarsi mai?
A quel tempo mia madre lavorava, era un'infermiera (lei ci teneva a sottolineare che era un'infermiera professionale con diploma di caposala), ma aveva lavorato in ospedale per pochi anni, a Roma, poi, dopo la mia nascita, aveva deciso di lasciare l'ospedale per un lavoro più tranquillo, più vicino a casa, senza i turni massacranti e “sfasanti” che ancora oggi gli infermieri che io sappia devono fare. Mia nonna era un grosso aiuto per lei. Mia madre non sapeva cuocere neanche un uovo al tegamino, mia nonna non la voleva in cucina e le diceva: “Tu hai studiato, pensa a fare bene il tuo lavoro, a far da mangiare imparerai quando non ci sarò più!”. 
E così è stato: mia nonna se n'è andata in fretta, senza darci tanto da fare in un inverno in cui una brutta forma di influenza ne portò via tanti, quando io avevo 10 anni e mia madre 37. 
Mia madre ha cucinato per qualche mese fettine di carne, pasta al burro e minestrina di dado, dopo di che, forse per disperazione sua, mia e di mio padre, ha cominciato a comprare libri di cucina ed uno in particolare: “La cucina dalla A alla Z” di Carnacina e, tra tutte le ricette disponibili sceglieva quelle della cucina romanesca. Pur non essendo romana evidentemente voleva fare parte di quella terra che l'aveva così amorevolmente accolta e così giù con code alla vaccinara, penne all'arrabbiata, bucatini all'amatriciana, spaghetti alla carbonara, coratella coi carciofi....... aveva una sapienza nell'aggiungere la giusta dose di sale e di aromi, dare quel tocco che anche seguire pedissequamente una ricetta non può dare, come se anche in lei geneticamente ci fosse una predisposizione naturale a dare ai cibi la giusta amalgama di sapore. 
Essendo cresciuta con questi sapori, come potrei mai disprezzare la carne ed avercela con chi, senz'altro più di me, la consuma?

Caro Paolo, avrei altre cose da dire su mia nonna, cose belle e meno belle, ma preferisco ricordare queste, per quelle negative magari ne parliamo o riparliamo quando ci vediamo........... oppure me le dimentico.
Cara Antonella, mia nonna ricorre spesso nei miei pensieri in questi mesi: l'ultima volta che siamo stati a Treia con Paolo siamo andati a fare una visita al locale cimitero e. dopo essere stati dai miei genitori ai quali l'ho presentato come il mio fidanzato, siamo stati anche dai miei nonni materni, Anna e Vittorio. 

Lui è morto molto giovane, 31 o 32 anni al massimo, lasciando vedova mia nonna, 36 anni (6 anni più di lui) altrimenti nominata "Annetta", con una figlia, mia madre, di appena due mesi. Già da questo inizio, cara Antonella, ti puoi immaginare che la vita di mia nonna non è stata semplice. Dopo il parto, poi, aveva avuto le febbri puerperali e quindi aveva dovuto "abbandonare" mia madre nelle mani di una balia, amorevole si, tanto che mia madre (Gina), quando mia nonna è andata per riprendersela, a circa un anno (?) non ne voleva sapere di andarsene da lì, ma pur sempre una balia.

Io, come molti figli "ingrati", ho sempre incolpato mia madre di scarsa affettuosità nei miei confronti, ma negli ultimi anni l'avevo un po' "perdonata" pensando all'infanzia che deve aver passato, senza padre e con una madre giovane vedova, infanzia di cui lei comunque non si è mai lamentata, anzi, lei ha sempre adorato sua madre, mia nonna e se raccontava qualche episodio della sua infanzia erano esclusivamente ricordi felici.

Mia nonna era nata nel 1898, a detta di Paolo, anno del Cane (e quindi da lei avrò pur preso qualcosa), mentre mia madre era del 1932 (anche lei Scimmia) e Paolo è un altro Scimmiotto (1944).

Erano 9 tra fratelli e sorelle. Io non li ricordo tutti neanche nel nome. Alcuni erano morti da piccoli, alcuni altri sono emigrati in Argentina e di questi se ne erano perse le tracce, i rimanenti erano, oltre mia nonna, due fratelli più piccoli (Antonio - Antò- e Giuseppe - Peppe) e una sorella più grande, Maria (Mari'). Questi li ricordo tutti bene. So che lei, essendo rimasta in casa più a lungo dell'altra sorella (mia nonna si era sposata a 35 anni) aveva fatto un po' da "servetta" ai fratelli curandoli amorevolmente fino a quando non si erano sposati, tutti e tre in tarda età (specialmente mia nonna) e quando in estate mi trasferivo a Treia per tre mesi con lei, sulla credenza c'erano sempre e specialmente il martedì, giorno di mercato, il ciambellone e il vermouth, per accogliere degnamente i fratelli e i nipoti in visita, dato che, mentre noi stavamo in paese, nella casa che accoglierà a breve Paolo, gli altri facevano i contadini e vivevano nelle campagne circostanti. 

Era una gran festa per mia nonna ricevere i suoi fratelli, si volevano veramente una gran bene ed era commovente vederli abbracciarsi, baciarsi e ridere insieme. Mia nonna aveva una pancia molto voluminosa e quando rideva questa pancia sembrava si animasse, ballava con lei....................
Dopo la morte di mio nonno e il "recupero" della figlia mia nonna si dovette rimboccare le maniche ed trovò un lavoro da "governante" presso un uomo che aveva fatto i soldi emigrando in Argentina. Non so in seguito a quale incidente o malattia aveva perso una gamba (aveva la gamba di legno, anzi , ne aveva due, una per i giorni normali ed una per i giorni di festa) ed era tornato in Italia, ad Appignano, un paesino vicino a Treia ma ancora più piccolo (e meno bello). Aveva bisogno di chi lo accudisse , mia nonna aveva bisogno di lavorare e così lei si trasferì con la piccola "Ginetta" in quel paesino, famoso per la produzione di cocci e coccetti, terrecotte anche di piccolissime dimensioni con cui ho sempre giocato anche io da bambina e per le fabbriche di mobili.

Lui si chiamava Giacomo Andreani , detto "Andrià":era un uomo burbero, ma generoso e mia madre era una bimbetta che sapeva farsi voler bene (come tutte le Scimmie); lui la teneva sulle ginocchia e forse le raccontava le storie della sua gioventù.

Quando morì lasciò a mia nonna del denaro con cui lei acquistò la casa di Treia, dove si trasferì e dove mia madre visse la sua giovinezza. 

La casa era su due piani abitabili, venne acquistata in blocco dalle due sorelle Annetta e Marì, indivisa (la divisione fu fatta successivamente alla loro morte dai figli, cose di eredità) un piano lo abitò mia nonna e il piano superiore sua sorella.
Ma ecco che ricominciavano i problemi economici per la piccola famiglia, allora mia nonna si trasformò in "pensionante", cioè affittava le stanze ai "forestieri" fino anche a cedere il suo letto a gente che veniva da fuori per lavoro, tra cui preti e professori. Lei si arrangiava a volte a dormire su una grande e dura cassapanca, che ora, dopo essere stata restaurata e lucidata, fa bella mostra di sé nel mio soggiorno a Spilamberto. Prima era passata da Bologna, dalla casa dove vivevo con il padre di Viola, e quando mi sono separata e me ne sono andata è stato l'unico mobile che ho voluto portare via con me.

Mia madre ricordava quello come un bel periodo della sua vita, in mezzo a gente da cui imparò ad amare la lettura e , nella sua semplicità, una certa cultura.

E mia nonna cucinava e cucinava............. 

E cucinando cucinando ha trasferito la sua attività da Treia a Roma, seguendo mia madre che nel frattempo si era sposata con mio padre. Chissà se ha sofferto nel lasciare il suo paese e i suoi fratelli! Forse la consolava il pensiero che, comunque, era previsto e così è stato finché è vissuta, che la bella stagione lei la passava comunque a Treia con me, che dopo due anni sono venuta al mondo.

A proposito di cucina le sue specialità, che sono poi le specialità della sua zona di origine erano:
vincisgrassi, una sorta di lasagne con un sugo di carne particolare, come è il sugo di carne alla marchigiana, cioè con carne di manzo e odori (cipolla e poco altro) a pezzi e non tritati come nel ragù alla bolognese (la specialità dell'altra mia nonna, ma questa è un'altra storia, meno conosciuta da me e meno variegata), gnocchi di patate, con il solito sugo di carne (questi li faceva altrettanto buoni, se non addirittura migliori, mia zia Augusta, una cugina di mia madre, figlia di quella zia Marì), ravioli di ricotta, tagliatelle (entrambi col solito sugo),tagliolini in brodo........

Quanto mi piaceva vederle fabbricare con perizia e precisione quei manicaretti!  Per i ravioli faceva la sfoglia rigorosamente a mano sul tagliere col mattarello, poi la tagliava a quadri, metteva al centro di ognuno un mucchietto di ripieno fatto con ricotta di pecora, parmigiano, uova, sale e un po', se non ricordo male, di noce moscata. Ogni riquadro veniva ripiegato in due a forma di rettangolo e per chiudere meglio i bordi veniva usato un ditale, premuto in quattro punti con la precisione di una macchinetta. La festa continuava per me che ero addetta alla ripulitura con le dita della ciotola in cui era stato il ripieno... che dopo il mio intervento riluceva come appena uscita da una lavastoviglie.
I tagliolini erano l'apoteosi della precisione: dopo aver fatto la sfoglia ed averla fatta un po' asciugare, veniva arrotolata stretta e un po' schiacciata e poi, tenuta ferma con la mano sinistra, con la destra armata di un coltello con la giusta affilatura veniva "affettata" come un salame con un ritmo cadenzato e regolare che produceva un rumore che ancora mi risuona, dopo più di 40 anni, nelle orecchie: "zum! zum! zum! ......" ed ogni 10 - 15 tagli, la sfoglia affettata veniva aperta a formare dei nidi che poi venivano lasciati sul tagliere ad asciugare. La misura del taglio veniva data dalle dita della mano sinistra sfiorate ogni volta da quel coltello affilato ed io tutte le volte mi domandavo, tra me e me: "Ma come fa a non tagliarsi mai?

A quel tempo mia madre lavorava, era un'infermiera (lei ci teneva a sottolineare che era un'infermiera professionale con diploma di caposala), ma aveva lavorato in ospedale per pochi anni, a Roma, poi, dopo la mia nascita, aveva deciso di lasciare l'ospedale per un lavoro più tranquillo, più vicino a casa, senza i turni massacranti e “sfasanti” che ancora oggi gli infermieri che io sappia devono fare. Mia nonna era un grosso aiuto per lei. Mia madre non sapeva cuocere neanche un uovo al tegamino, mia nonna non la voleva in cucina e le diceva: “Tu hai studiato, pensa a fare bene il tuo lavoro, a far da mangiare imparerai quando non ci sarò più!”.
E così è stato: mia nonna se n'è andata in fretta, senza darci tanto da fare in un inverno in cui una brutta forma di influenza ne portò via tanti, quando io avevo 10 anni e mia madre 37.
Mia madre ha cucinato per qualche mese fettine di carne, pasta al burro e minestrina di dado, dopo di che, forse per disperazione sua, mia e di mio padre, ha cominciato a comprare libri di cucina ed uno in particolare: “La cucina dalla A alla Z” di Carnacina e, tra tutte le ricette disponibili sceglieva quelle della cucina romanesca. Pur non essendo romana evidentemente voleva fare parte di quella terra che l'aveva così amorevolmente accolta e così giù con code alla vaccinara, penne all'arrabbiata, bucatini all'amatriciana, spaghetti alla carbonara, coratella coi carciofi....... aveva una sapienza nell'aggiungere la giusta dose di sale e di aromi, dare quel tocco che anche seguire pedissequamente una ricetta non può dare, come se anche in lei geneticamente ci fosse una predisposizione naturale a dare ai cibi la giusta amalgama di sapore.
Essendo cresciuta con questi sapori, come potrei mai disprezzare la carne ed avercela con chi, senz'altro più di me, la consuma?

Caro Paolo, avrei altre cose da dire su mia nonna, cose belle e meno belle, ma preferisco ricordare queste, per quelle negative magari ne parliamo o riparliamo quando ci vediamo........... oppure me le dimentico.

Caterina Regazzi 

Treia 1960 -  L'autrice in braccio alla nonna



La felicità intrinseca è la nostra vera natura, conserviamola.....



Studiando gli uomini, la storia la mente e l’anima, si entra in un termine difficile “felicità” perché nel corso dell’esistenza si assisteste a momenti di contentezza, di soddisfazione conquistata, ma anche di infelicità, di sconforto, di sofferenza, contro i quali a volte è difficile lottare, fare qualcosa, in una parola vivere bene.
Una buona parte  della nostra infelicità proviene da un cattivo uso della mente, da una scarsa conoscenza dei suoi difficili meccanismi e ciò conduce a pensieri errati. Comprendere la vita mentale è il risultato di due scuole connesse.
La prima, monopolio della nostra mente la filosofia. Dobbiamo infatti ad essa l’aver commesso un errore di valutazione, precisamente la convinzione che la mente sia uno specchio dove si riflette un mondo fuori di noi, negando così ogni attività al di fuori della semplice riflessione. Ma alcuni filosofi si sono accorti di tale errore, basta ricordare Socrate e soprattutto Kant.
Oggi  si ha il desiderio di applicare i risultati delle analisi compiute sull’uomo, costruendo qualcosa di artefatto che abbia grandi capacità mentali in breve una sorta di intelligenza artificiale. Per produrre qualcosa che già esiste, bisogna sapere cosa si produce: il pittore, lo scultore terranno a mente le fattezze esterne, ma l’ingegnere nel costruire, deve tenere conto di quelle interne, ossia di un’opera presa a modello. Tutto questo deve essere visto e formulato in termini positivi e non negativi, dire quando deve essere fatto, e non quando non deve essere fatto. Quindi non utilizzare termini contraddittori, altrimenti la costruzione diventa impossibile. Ecco quindi che l’uomo si immagina come un progetto realizzato, e ci si può accingere a ripeterne la realizzazione. Per quanto riguarda la felicità, i risultati derivano non solo dalla pura filosofia, ma soprattutto dalla saggezza popolare, dalle religioni e nelle ideologie, temi di lettura etc.. Tutto questo viene confermato nei millenni anche da numerose massime popolari, una per tutte, chi ha tempo non aspetti tempo.
L’uomo lavora quindi per se stesso, con la scienza, le credenze, con l’ipotesi e la prova, per costruire un presente migliore inventando passato e futuro non dimenticando mai, come scrisse Dennis Gabor, Premio Nobel per la Fisica, di essere ingegnere della sua felicità.
Rita De Angelis

Se gli "ebrei" non sono ebrei - Nascita del sionismo, fra cazari e ashkenaziti.. ed altri




….iniziamo con il cercare di capire come e quando è nato questo sionismo.
Solitamente si ritiene che esso sia originato da un filone di pensiero, sorto all’interno della comunità ebraica, verso i primi anni del secolo scorso (od alla fine del precedente) ed abbia trovato una sua prima attuazione concreta nella fondazione di Israele. Questo fatto è stato comunque accompagnato da una forte crescita dell’influenza di un certo “ceto” ebraico nel campo economico e della finanza mondiale. Il nido in cui tale influenza ha potuto svilupparsi si trova negli USA, il cuore dell’America, ed in parte anche in Inghilterra. Fu proprio in seguito a questa forte influenza che l’Inghilterra acconsentì alla cessione della Palestina, al termine del secondo conflitto mondiale, affinché gli ebrei (vittime di persecuzioni e sterminio) potessero fondare (o rifondare) una loro patria. La famosa “terra promessa”… Ed il ritorno in quella casa ideale avvenne con una celere penetrazione e occupazione del territorio palestinese, considerato “proprio”.
E la nascita d’Israele, il necessario caposaldo per creare un precedente e stabilire un percorso futuro, sancì di fatto l’attuazione del sionismo. Una terra è come un tempio, se si possiede un tempio la religione viene santificata altrimenti è solo un’ipotesi. E l’identità sionista aveva ed ha bisogno proprio di questo: un tempio simbolo dell’avverarsi delle promesse del dio Jawè. Un ritorno alla casa madre dopo la diaspora provocata dalla distruzione del tempio ad opera di Tito.
Ma attenzione la diaspora ebraica in realtà non fu causata specificatamente dalla distruzione di Gerusalemme. Questo fatto militare contribuì soltanto ad incrementare un processo che era già avvenuto ed era in corso da secoli. La diaspora, od il nomadismo, degli ebrei era una componente della loro cultura, L’origine semitica pastorale di questa tribù patriarcale e la tendenza a vagare cercando nuovi pascoli era ben radicata nel dna ebraico. Il popolo ebraico, suddiviso in varie famiglie, era già sparso in tutto il mondo conosciuto allorché alcune sue bande presero ad insediarsi in Palestina, contrastando e sottomettendo gli agricoltori autoctoni, quelli che avevano costruito le prime città dell’antichità (ricordate la storia di Gerico?).
Questa spinta espansionistica e la considerazione di avere un diritto, garantito dal loro dio, di appropriarsi dei beni altrui, ed inoltre la “distinzione” settaria che rendeva gli ebrei diversi da ogni altro popolo fece sì che nella loro cultura si affermasse la convinzione, un credo, che poneva il popolo eletto ad di sopra di ogni altro essere umano. Non me lo sto inventando, basterà leggere la bibbia e la torah per rendersene conto. Ma questo ora non c’entra con il mio discorso.. ritorniamo al tema principale. Comunque un’ultima considerazione mi sia consentita. Per gli ebrei il fatto di considerasi appartenenti ad una “unica” cultura, condivisa per trasmissione genetica, fece sì che il legante religioso fosse abbastanza forte da mantenere il senso della nazione e della comunità, pur non vivendo nella stessa terra. E questo è un punto saliente. Ma questo attaccamento ancestrale alle proprie radici etniche non è ancora la causa originaria del sionismo… Tutt’altro! Infatti per i veri ebrei, quelli nati e vissuti secondo la tradizione, il sionismo viene visto come una sorta di devianza, una eresia. Come lo fu l’eresia cristiana e maomettana. Infatti sappiamo bene che queste due religioni sorsero come varianti dell’ebraismo.
Ma cosa e chi intendo per “ebrei veri”? Non intendo riferirmi semplicisticamente a quegli ortodossi, con barboni e palandrane nere, che folkloristicamente si lamentano al muro del pianto, mi riferisco in generale a tutta la “gens” di origine ebraica, sia quella antecedente che quella successiva alla “diaspora” (del ‘70 d.C.). Sono i discendenti degli ebrei sparpagliati in tutto il mondo conosciuto dell’antichità, dalla Persia alla Grecia, dall’Egitto all’Italia, etc. ma tutti questi ebrei, meglio: i loro discendenti, sono oggi una minoranza ristretta della comunità internazionale giudea.
In verità questi ebrei “originali” sono oggi fra i più accaniti oppositori del sionismo. Ed il motivo è semplice: il sionismo nasce da elementi non ebraici. Il sionismo sorge in un contesto razziale diverso da quello ebraico, è il risultato di una rivalsa storica da parte di “conversi” di origine caucasica turcomanna, che abbracciarono nel 740 della nostra era (sotto il Khagan Bulan) la “fede” del popolo eletto (per un malaugurato errore di alcuni rabbini), semplicemente per convenienza politica, per questioni di potere, per mantenere una differenziazione fra i due blocchi “religiosi” che allora si contendevano il dominio della terra: i musulmani ed i cristiani.
Questi “conversi”, un intero popolo, i khazari (o cazari), formarono la componente ebraica dell’Europa orientale. Il sionismo comincia da loro, anche se non era ancora chiaro come modello. Infatti si sa che gli ultimi saranno i primi e che i nuovi aderenti ad un credo divengono spesso i più fanatici, anche perché sanno di non averne realmente diritto e quindi se lo conquistano con un reiterato zelotismo ed odio sia nei confronti degli opponenti originari, i cristiani ed i musulmani, sia contro i loro “fratelli maggiori” gli ebrei originari. Sono i successori di questi sedicenti ebrei (cosa contraria alla legge giudaica), che oggi compongono la schiera dei banchieri e finanzieri che dirigono la politica e l’economia e che hanno creato il fulcro sionista in Israele e che sono diventati la “maggioranza” del popolo eletto….
Tanto per fare chiarezza…

Paolo D’Arpini



...............................


Articolo collegato: http://paolodarpini.blogspot.it/2013/03/popolo-ebraico-non-esiste-lo-afferma.html 


Altro articolo: http://paolodarpini.blogspot.it/2013/01/gli-ebrei-orientali-ashkenaziti-non.html


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Commento di Lorenzo Pennacchi: "Interessante l'articolo...inoltre ci
terrei a sottolineare come il sionismo di inizio secolo scorso sarebbe
potuto diventare un qualcosa di diverso rispetto a quello di oggi,
ovvero la costituzione di una comunità ebraica (maggioritaria rispetto
a prima), ma sempre nel rispetto della convivenza con i palestinesi.
Le amicizie imperialiste e l'élite economica a capo di questo
ipotetico "focolare" hanno deviato questo progetto. Questo per
sottolineare come oggi assistiamo ad un tipo di sionismo, il peggiore
possibile per il popolo palestinese, mentre ad inizio '900 le idee
erano molto più variegate a proposito (ricordo il partito "Brit
Shalom", del quale alcuni letterati, tra cui Martin Buber, facevano
parte), il quale appunto puntava alla creazione di uno stato
binazionale, equamente distribuito e condannò le pretese
imperialistiche successive. La stessa visione religiosa basata sulla
lettura del "Talmud" dei "Neturei Karta" (nati solamente negli anni
'30), fondata sull'impossibilità di creare uno Stato ebraico in terra,
era già in voga ad inizio secolo (vedesi Zweig). Consiglio la lettura
di questo interessante articolo:
http://www.giuntina.it/ElencoRecensioni/Una_terra_e_due_popoli_392/Il_sionismo_umanista_di_Martin_Buber__244.html"

L'amore senza punti interrogativi... di Osho

"Cara!" esclama un uomo d'affari in rovina. "Mi e' venuta un'idea geniale per risparmiare! Impara a cucinare, così potremo licenziare la domestica!" - "Io ho un'idea ancora migliore!" risponde la moglie. "Impara a far l'amore, così possiamo licenziare l'autista!"




Per prima cosa: ci sono due tipi di amore. C.S. Lewis ha diviso l’amore in due tipi: “l’amore-bisogno” e “l’amore-dono”. Anche Abraham Maslow divide l’amore in due tipi. Il primo lo chiama “amore-carenza” e il secondo “amore-essere”. La distinzione è significativa e dev’essere compresa. 

L’“amore-bisogno” o l”amore-carenza” dipende dall’altro; è amore immaturo. In realtà non è amore vero, è un bisogno. Tu usi l’altro, lo usi come un mezzo. Tu sfrutti, manipoli, domini. Ma l’altro è reso succube, viene praticamente distrutto. E anche l’altro fa esattamente la stessa cosa: tenta di manipolarti, di dominarti, di possederti, di usarti. Usare un altro essere umano non ha niente a che fare con l’amore: sembra amore, ma è una moneta falsa. Ma questo è ciò che accade quasi al novantanove per cento della gente perché la prima lezione d’amore l’impari nella tua infanzia. 

Un bambino nasce e dipende dalla madre. Il suo amore verso la madre è un “amore-carenza”: egli ha bisogno della madre, non può sopravvivere senza di lei. Egli ama la madre perché è la sua vita. In realtà, non c’è amore; amerebbe qualsiasi donna – chiunque lo protegga, lo aiuti a sopravvivere, chiunque soddisfi il suo bisogno. La madre è una sorta di cibo di cui si nutre. Non riceve solo latte dalla madre, ma anche amore – e anche questo è un bisogno. 
Milioni di persone rimangono infantili per tutta la vita; non crescono mai. Invecchiano, ma nelle loro menti non crescono mai; la loro psicologia rimane infantile, immatura. Hanno sempre bisogno di amore. Sono sempre affamate d’amore, lo bramano come il cibo. 

L’uomo matura nel momento in cui comincia ad amare piuttosto che avere bisogno. Comincia a traboccare, a condividere; comincia a donare. La differenza è fondamentale. Nel primo caso, ciò che importa è come avere di più. Nel secondo, l’importante è come donare, sempre di più e incondizionatamente. Questo significa crescita, è l’inizio della maturità. 

Una persona matura dà. Solo una persona matura può dare, perché solo una persona matura può avere. In questo caso l’amore non è dipendente, e tu puoi amare, che l’altro ci sia o meno. In questo caso l’amore non è una relazione, è uno stato dell’essere. 

Cosa succederebbe se tutti i miei discepoli scomparissero e io restassi solo? Pensi che farebbe differenza? Cosa succede quando un fiore sboccia nel mezzo di una foresta senza che ci sia nessuno ad apprezzarlo, a conoscere la sua fragranza, nessuno che commenti e dica “che bello”, che ne gusti la bellezza, la gioia, nessuno con cui condividere – cosa accade al fiore? Muore? Soffre? Si lascia prendere dal panico? Si suicida? Semplicemente continua a fiorire. 

Non fa alcuna differenza se qualcuno passa oppure no; è irrilevante. Il fiore ontinua a diffondere la sua fragranza al vento. Continua a offrire la sua gioia a Dio, al Tutto. 
Se fossi solo, anche allora il mio amore sarebbe uguale. Non siete voi a creare il mio amore. Se fosse così, naturalmente senza di voi il mio amore sparirebbe. Non siete voi a far scaturire amore dal mio essere, sono io a riversarlo su di voi: è “amore-dono”, “amore-essere”. 

E io non sono veramente d’accordo con C.S. Lewis e Abraham Maslow. Il primo tipo di ‘amore’, che loro definiscono così, non è amore, è un bisogno. Come può un bisogno essere amore? L’amore è un lusso. È abbondanza. Significa possedere così tanta vita che non sai più cosa farne, quindi la condividi. Significa avere nel cuore infinite melodie da cantare – che qualcuno ascolti o meno è irrilevante. Anche se nessuno ascolta, devi comunque cantare, devi danzare la tua danza. 

Gli altri possono ricevere, o perdere l’opportunità – ma per quanto riguarda te, l’amore scorre e trabocca. I fiumi non fluiscono per te, lo fanno che tu ci sia o meno. Essi non scorrono per la tua sete, per i campi assetati; semplicemente scorrono. Tu puoi lenire la tua sete, o puoi perderne l’opportunità – dipende da te. In realtà il fiume non stava scorrendo per te, semplicemente scorreva. Che tu usi la sua acqua per il tuo campo, per i tuoi bisogni, è casuale. 

Un Maestro è un fiume, il discepolo è casuale. Il Maestro scorre; tu puoi partecipare, puoi gioirne, puoi condividere il suo essere. Puoi esserne travolto, ma egli non lo fa per te. Egli non fluisce per te in particolare, semplicemente fluisce. Ricordalo. E questo è ciò che io chiamo amore maturo, vero, autentico, amore sincero. 

Quando dipendi dall’altro c’è sempre miseria. Nel momento in cui sei dipendente, cominci a sentirti miserabile, poiché la dipendenza è schiavitù. Allora cominci a vendicarti in modi sottili, perché la persona da cui devi dipendere acquista potere su di te. A nessuno piace che qualcuno abbia potere su di lui, a nessuno piace essere dipendente; perché la dipendenza uccide la libertà, e l’amore non può fiorire nella dipendenza. L’amore è un fiore della libertà – ha bisogno di spazio, di spazio assoluto. L’altro non deve interferire. È molto delicato. 

Quando sei dipendente, l’altro certamente ti dominerà, e tu cercherai di dominare l’altro. Questa è la lotta che ha luogo tra i cosiddetti amanti; essi sono nemici intimi – continuamente in lotta. I mariti e le mogli – cosa stanno facendo? L’amore è molto raro; lottare è la regola, amare è un’eccezione. Ed essi tentano di dominare in tutti i modi – perfino attraverso l’amore.

Questo non è amore – è una contrattazione. E contrattano continuamente sul prezzo; è una lotta continua. C.S. Lewis e Abraham Maslow suddividono l’amore in due tipi. Io non lo faccio. Io dico che il primo tipo di amore è solo un nome, una moneta falsa; non è reale. Solo il secondo tipo di amore è amore vero. 

L’amore accade soltanto quando sei maturo. Diventi capace di amare solo quando sei cresciuto. Quando sai che l’amore non è un bisogno ma un traboccare: amore-essere o amore-dono – allora dai senza alcuna condizione. 

Il primo tipo, il cosiddetto amore, deriva dal profondo bisogno di una persona per l’altro, mentre l’amore-dono o l’amore-essere fluisce o trabocca da una persona matura a un’altra, è frutto dell’abbondanza; si viene inondati d’amore. È in te e comincia a muoversi intorno a te, proprio come quando accendi una lampada e i raggi cominciano a diffondersi nell’oscurità. L’amore è un sottoprodotto dell’essere. Quando tu sei, hai l’aura dell’amore intorno a te. Quando non sei, non possiedi quell’aura. E quando non ce l’hai, chiedi all’altro di darti amore. 

Lasciamelo ripetere: quando non hai amore, chiedi all’altro di dartelo; sei un mendicante. E l’altro chiede a te di darlo a lui o lei. Ebbene, due mendicanti che tendono le mani l’uno di fronte all’altro, ed entrambi sperano che l’altro abbia l’amore... ovviamente entrambi alla fine si sentiranno sconfitti, entrambi si sentiranno ingannati.

Puoi chiedere a qualsiasi marito e a qualsiasi moglie, puoi chiedere a ogni amante: entrambi si sentono ingannati; che l’altro avesse l’amore era una tua proiezione. Se hai una proiezione sbagliata, cosa può farci l’altro? La tua proiezione si è infranta, semplicemente perché l’altro non si è dimostrato all’altezza, ecco tutto. Ma l’altro non ha nessun obbligo di soddisfare le tue aspettative. 

E l’altro si sente ingannato, perché a sua volta sperava che l’amore fluisse da te. Entrambi speravate che l’amore sarebbe fluito dall’altro, e ne eravate entrambi privi. Come avrebbe potuto nascere l’amore? Al massimo potrete essere miserabili insieme. 


Prima, eravate infelici da soli, separati, ora potete esserlo insieme. E ricorda, quando due persone sono infelici insieme, non si tratta di una semplice addizione, ma di una moltiplicazione. 

Da solo ti sentivi frustrato, ora vi sentite frustrati insieme. Di buono in questo c’è che ora puoi gettare la responsabilità sull’altro: l’altro ti sta rendendo infelice – questo è il vantaggio. Ti puoi sentire a tuo agio. “Non c’è niente di sbagliato in me... ma l’altro.... Ora puoi gettare la responsabilità sull’altro; hai trovato un capro espiatorio. 

Ma la miseria rimane, si moltiplica. 

Ebbene questo è il paradosso: coloro che si innamorano non hanno amore, ecco perché si innamorano. E poiché non hanno amore, non possono darne. E ancora una cosa: una persona immatura si innamora sempre di un’altra persona immatura, perché hanno lo stesso linguaggio. Una persona matura ama una persona matura. 

Una persona immatura ama una persona immatura. 

Puoi continuare a cambiare marito o moglie mille volte, troverai di nuovo lo stesso tipo di donna e la stessa miseria ripetuta in forme diverse – ma la stessa miseria ripetuta, è praticamente la stessa cosa. Puoi cambiare moglie, ma tu sei immutato, e non cambi. Ebbene, chi sceglierà l’altra moglie? Tu, e la scelta sarà di nuovo frutto della tua immaturità. Sceglierai di nuovo un tipo di donna simile. 

Il problema di base in amore è che prima devi diventare maturo, allora troverai un partner maturo; le persone immature non ti attrarranno affatto. È proprio così. 

In effetti una persona matura non si innamora, si eleva nell’amore. 

La definizione inglese “fall in love”, “cadere in amore”, non è corretta. Solo persone immature cadono; inciampano e cadono in amore. Se in qualche modo riuscivano a stare in piedi, non sono in grado di farlo per sempre – trovano una donna e si perdono, trovano un uomo e si perdono. Erano sempre pronti a cadere a terra e a strisciare. Non hanno spina dorsale; non hanno l’integrità che permette di stare da soli. 

Una persona matura possiede l’integrità per essere sola. E quando una persona matura dà amore, lo dà senza vincoli: semplicemente dona. Quando una persona matura dà amore, ti è grata per averlo accettato, non viceversa. Non si aspetta che tu le sia riconoscente – no, niente affatto, non ha neppure bisogno dei tuoi ringraziamenti. Ringrazia te per aver accettato il suo amore. E quando due persone mature sono in amore, accade uno dei più grandi paradossi della vita, uno dei fenomeni più belli: sono insieme e tuttavia tremendamente sole; sono insieme al punto da essere quasi una sola persona. Ma la loro unità non distrugge la loro individualità, anzi l’aumenta: diventano più individui. Due persone mature in amore si aiutano a vicenda per diventare più libere, senza politica, né diplomazia, né tentativi di dominare. Come puoi dominare la persona che ami?

L’amore, per essere vero amore, dev’essere “amore-essere”, “amore-dono”. “Amore-essere” indica uno stato dell’amore. Quando sei arrivato a casa, quando hai conosciuto chi sei, allora un amore sorge nel tuo essere. Allora la fragranza si diffonde e tu puoi donarla ad altri. Come puoi donare qualcosa che non hai? Per darla, il primo requisito essenziale è possederla.

Osho

Archeofantasy - Cina ed i segreti dell'antico Feng Shuy, nascosti nella Grande Piramide Bianca




La Cina ha continuato a mantenere i suoi segreti: più di cento piramidi si trovano nel suo territorio, e molti nemmeno ne conoscono l'esistenza.

Nella superficie totale di 2.000 chilometri quadrati, è stato trovato più di un centinaio di piramidi!

Secondo un'antica leggenda cinese, vi sono oltre un centinaio di piramidi costruite in questo paese, in seguito alla visita nel nostro pianeta di alieni provenienti da altri mondi.  E' detto che le piramidi appartenevano all'epoca di quando la Cina era governata da antichi imperatori che erano convinti dell'esistenza di civiltà extraterrestri. Secondo i documenti antichi, le piramidi sono state costruite più di 5000 anni fa. Inoltre, gli imperatori affermavano di essere discendenti dei "figli del cielo, che da draghi di ferro misero i  piedi per terra." 




Che cosa sono esattamente queste strutture antiche? L'altezza di tutte le piramidi, che si trova sulle pianure del Sichuan, che vanno da 25 a 100 metri. L'unica eccezione è quella che si trova a nord, nella valle del fiume Jia Lin. Questa è la cosiddetta Grande Piramide
Bianca. L'altezza di questo edificio è di circa 300 metri,
che è due volte più grande della Grande Piramide di Giza! Si potrebbe definire la madre di tutte le piramidi cinesi.

In apparenza, le piramidi cinesi assomigliano alle piramidi che si trovano in Mesoamerica (Messico, Guatemala, ecc.), una somiglianza impressionante! Quando le piramidi messicane sono stati scoperte
erano anche coperte di vegetazione e sembravano identiche alle piramidi sulle pianure di Qin Chuan. Forse sono state costruite dagli stessi "figli del cielo"?

Non molto tempo fa, il governo cinese ha dichiarato inaccessibile  l'area adiacente alla Grande Piramide Bianca, in quanto vi è costruito un trampolino di lancio per lanciare razzi che portano i satelliti in orbita, e, naturalmente, questa zona è chiusa a tutti gli stranieri.
Il governo cinese ha già piantato sulle piramidi conifere a rapida crescita, in modo che dopo un periodo di venti anni, saranno in grado di dire: "Che cosa sono le piramidi? E 'solo una collina naturale con alberi che crescono su di loro".  Non si può non chiedersi - cosa stanno cercando di nascondere? Alcuni ricercatori
ritengono che gli scienziati cinesi hanno paura di introdursi nelle piramidi, temendo di trovarvi documenti che  ribaltano tutte le nostre idee circa la vita sulla Terra.

Un archeologo cinese, Wang Shiping, dice che queste piramidi sono disposte secondo gli aspetti astronomici del modello 
"Feng Shui"  e dimostrano l'incredibile
conoscenza della geometria e della matematica a disposizione dei nostri antenati.

Piccioni a Calcata vecchia e muova - Cronaca riciclata dal Giornaletto di Saul


Calcata - Intervento d'urgenza della Guardia Regionale dopo il passaggio dei piccioni

E’ ormai tempo di reagire! La popolazione di bottegai, artisti, ristoratori, etc. è sotto choc (non è un uovo alla coc!) Ieri, domenica, si è verificato l’ennesimo, violento, scontro a fuoco per aria.
Si è sfiorata la carneficina di piccioni a tarda sera, all’incrocio del cavalcavia  fra la via che porta a Calcata nuova e quella che porta a Calcata vecchia. Due pantere, una della milizia e l’altra dei vigili, stavano per urtarsi e solo il provvidenziale  passaggio di un gatto nero ha provocato una brusca frenata di entrambe le auto, evitando un impatto che poteva essere disastroso, a causa della forza scaramantica  con la quale le autovetture non procedevano.
Gli agenti, tuttavia, si sono innervositi e hanno cominciato a lanciarsi ingiurie e contumelie da una vettura all’altra, ciascuno rivendicando le proprie ragioni, in merito alla precedenza ed a chi fosse stato più contagiato dalla sfortuna… Inevitabilmente dalle parole si è passati ai fatti, tutti e sei gli agenti sono scesi dalle auto ed hanno preso a sparare in aria, terrorizzando i venditori di cianfrusaglie che stavano chiudendo i loro banchetti ed uno stormo di piccioni viaggiatori, allevati nelle vicinanze del castello, che hanno preso a svolazzare sulla zona dello scontro bombardando, in autodifesa, guardie e bancarellari e turisti  con deiezioni chimiche fatte in proprio (vendicandosi così dell’otturamento dei loro pertugi effettuato da solerti cittadini igienisti).
Esaurite le munizioni, i militi si sono avvicinati gli uni agli altri, chiedendosi reciprocamente i documenti. Avendo opposto tutti un netto rifiuto, si sono alla fine arrestati. Adesso su tutti pende una denuncia per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale.
I piccioni sono tutti salvi.
[Nota: qualsiasi riferimento ad avvenimenti precedenti realmente avvenuti  è puramente causale].

14 giugno, 2010 - Georgius  – Inviato  per l’Estero e per Calcata vecchia e nuova de Il Giornaletto di Saul

Non-dualismo nel Taoismo, nell'I Ching, nel Vedanta e nel pensiero occidentale classico



“La verità non può essere perseguita, è sempre presente e manifesta, altrimenti non sarebbe verità ma semplice descrizione. E la descrizione non è mai la sostanza…” (Saul Arpino)

L’idea del “ritorno”, che costituisce uno degli elementi di primaria importanza nel Tao-te-king, affiora già nel Libro dei Mutamenti (I Ching).

Sotto l’esagramma Fu si legge: “Ritornare è pervenire al Tao..”.

Un commento attribuito a Confucio dice: “La ragione del Cielo è abbagliante e si abbassa sino alla terra. La ragione della Terra è umile e si eleva al Cielo. La ragione del Cielo diminuisce ciò che è elevato ed aumenta ciò che è basso. Gli spiriti nuocciono a ciò che è pieno e fanno del bene a ciò che è vuoto. La ragione del Cielo detesta ciò che è pieno di sé ed ama colui che è umile. L’umiltà è onorata e splendente: essa si abbassa e non può essere sormontata, essa é il fine del saggio!”

L’esaltazione della semplicità, descritta nel Tao-te-king preesisteva a Lao Tze. Un moderno filosofo cinese, Lang-si-ciao ritiene che il “non agire” taoista corrisponda alla “semplicità” dell’I Ching.

Se Lao Tze rielaborò alcuni pensieri già esistenti nella Cina antica e si valse di essi come pietre per edificare la montagna di Golconda del suo sistema filosofico, non é però detto -come alcuni studiosi sostengono- che tali concetti provenissero dall’antica India… E’ vero che la filosofia Vedica  sembrerebbe la più antica elaborata dall’uomo, e le sue implicazioni influenzarono il pensiero metafisico del mondo conosciuto. Ma questo é ciò che appare in quanto tale ricerca del vero risulta “codificata” nella memoria e quindi si fa riferimento ad essa come ad una “fonte”. Personalmente sono dell’opinione che sia il Taoismo che il Vedanta, entrambi di natura non-dualistica, fiorirono spontaneamente per logica propria.  Simili sistemi trovarono luce non solo in Cina ed in India ma pure in Europa, in Asia minore, in Africa e nelle Americhe. Tutto avvenne  a partire da quel periodo di “Fioritura Culturale” che potrebbe essere indicato nella fine del neolitico, con la scoperta dell’agricoltura e quindi dell’aumento delle risorse alimentari disponibili, che facilitarono lo sviluppo del pensiero  analitico concettuale ed artistico, ed è contemporaneo alla scoperta della scrittura. Alcune immagini non dualistiche sono riconoscibili, ad esempio,  nel pensiero ebraico  con “Io sono quell’Io sono” o nella filosofia presocratica…. con il concetto del “Tutto” che continuamente si svolge in se stesso.

Insomma inutile cercare ove il pensiero originale dell’Assoluto, “che tutto comprende e da cui tutto è originato ed a cui tutto ritorna” (inteso come superamento del teismo personale), sia apparso per la prima volta… si può invece supporre che tale filosofia sorga all’interno di varie famiglie umane, nel momento in cui la raffinatezza del pensiero raggiunge un culmine.

“Tutto é uno e perfetto in se stesso”, affermano le Upanishad dell’India ed il perseguire il “perfezionamento” è solo la proiezione di un  concetto basato su un altro concetto… la verità è qualcosa di molto semplice….

Ed ora una storiella Zen (come è stata ri-raccontata da  Aliberth Mengoni):

Un’anziana donna cinese aveva due grandi vasi, ciascuno sospeso all’estremità di un palo che lei portava sulle spalle. Uno dei vasi aveva una crepa, mentre l’altro era perfetto, ed era sempre pieno d’acqua alla fine della lunga camminata dal ruscello a casa, mentre quello crepato arrivava mezzo vuoto. Per due anni interi andò avanti così, con la donna che portava a casa solo un vaso e mezzo d’acqua. Naturalmente, il vaso perfetto era orgoglioso dei propri risultati. Ma il povero vaso crepato si vergognava del proprio difetto, ed era avvilito di saper fare solo la metà di ciò per cui era stato fatto. Dopo due anni che si rendeva conto del proprio amaro fallimento, un giorno parlò alla donna lungo il cammino: “Mi vergogno di me stesso, perché questa crepa nel mio fianco fa sì che l’acqua fuoriesca lungo tutta la strada verso la vostra casa”. La vecchia sorrise: ”Ti sei accorto che dalla tua parte del sentiero ci sono dei fiori, ma non ci sono dalla parte dell’altro vaso? È perché io ho sempre saputo del tuo difetto, perciò ho piantato semi di fiori dal tuo lato del sentiero ed ogni giorno, mentre tornavamo, tu li innaffiavi. Per due anni ho potuto raccogliere quei bei fiori per decorare la tavola. Se tu non fossi stato come sei, non avrei avuto quelle bellezze per ingentilire la casa”. Ognuno di noi ha il proprio specifico difetto. Ma proprio la crepa e il difetto che ognuno ha, fa sì che la nostra convivenza sia interessante e gratificante. Bisogna prendere ciascuno per quello che è e vedere ciò che c’è di buono in lui.

E per finire un’invocazione di Chuang-tze:

“Mio Maestro, mio Maestro, tu che distruggi senza essere cattivo! Tu che edifichi senza essere buono! Tu che fosti prima dei tempi e che non sei vecchio! Tu che copri tutto come il Cielo, che porti tutto come la Terra, che sei autore di tutto senza essere abile.. Comprenderti così, ecco la gioia celeste. Sapere che io sono nato per la tua influenza, che alla mia dipartita rientrerò nella tua Via, che riposando comunico allo Yin la tua modalità passiva, che agendo comunico allo Yang la tua modalità attiva: ecco la felicità suprema… L’azione dell’Illuminato si confonde con l’azione del Cielo, il suo riposo col riposo della Terra. Il suo saldo Spirito domina il mondo!”

Paolo D’Arpini