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Taoismo, Buddhismo, Advaita... e la "creazione" senza un Dio e senza un "intento"




"In seguito al Big Bang ed alla forza di gravità ed alla natura intrinseca delle particelle quantiche la materia universale che noi conosciamo si è auto generata… dal vuoto, senza alcun bisogno di un intervento divino” (Stephen William Hawking)

Come a dire che Dio non esiste, e che la vita e la materia sono la risultanza di un processo naturale. 

Queste ipotesi del Tutto che genera il Tutto, seguono la teoria di Albert Einstein della relatività dello Spazio – Tempo, che funge anch’essa da sostegno all’anti-creazionismo.

Le tesi del britannico Hawking sono molto affini alle intuizioni della “spiritualità laica o atea”, ampiamente espresse dal sottoscritto in diverse occasioni. Quindi la corroborazione scientifica sulla non esistenza di un Creatore "intenzionale" (come solitamente viene inteso Dio) mi trova perfettamente in sintonia.

La verità è che la negazione della creazione, in quanto opera di un Dio personale, è ben più antica delle “scoperte scientifiche” del fisico inglese o delle “intuizioni spirituali laiche”. Addirittura essa risale a migliaia di anni prima della nostra era. Il concetto era già presente nella filosofia “Non-duale” dell’India e nel Taoismo Cinese, ed ebbe una sponda anche nella teoria buddista del “Vuoto” (o Sunya).

E cosa dicono queste filosofie?

La manifestazione appare nell’Assoluto attraverso uno spontaneo “olomovimento”, o “Potere” (Shakti) in esso intrinseco. L’Assoluto non crea… egli semplicemente é. Non ha volontà né desiderio. Nell’Advaita (Non-dualismo), tutto l’esistente é una naturale espressione dell’energia propria dell’Essere, non c’é compimento deliberato o finalità nella manifestazione. Dal punto di vista “empirico” la spiegazione che viene data dell’evento “creativo” é quella del movimento energetico, un “gradiente” che viene a formarsi in seguito all’apparizione nello specchio riflettente della mente cosmica del concetto di spazio e di tempo.

Una sorta di condizionamento o capacità della mente di proiettarsi in quel “continuum” attraverso la formazione di una serie incessante di “fotogrammi”, definiti “momenti” e “luoghi”. Potremmo dire che tale “continuum” corrisponde, ab initium, al cosiddetto Big Bang, Ed in effetti sia lo spazio che il tempo sorgono contemporaneamente da quella ipotetica espansione primordiale. Ma anche affermare che la manifestazione è iniziata in un certo tempo e che si protrae nello spazio è una concessione all’esperienza vissuta dagli “esseri” che si muovono all’interno dello spazio/tempo. In verità tali “esseri” sono anch’essi concettuali e relativi tanto quanto l’esistenza del trascorrere del tempo e dell’espandersi nello spazio. Il Vuoto, o l’Assoluto, insomma prevale sempre, tutto contiene e tutto trascende.

Nel Taoismo quel che viene definito spazio è detto “Yin” e quel che è chiamato tempo viene detto “Yang”. L’incontro, o frizione, fra queste due forze insite nel Tao (Assoluto), produce tutti gli effetti visibili (ovvero la nascita delle cosiddette “diecimila creature”). Nel Tao non v’è intento, l’interezza del manifesto è il risultato di uno spontaneo alternarsi o rincorrersi delle energie Yin e Yang lungo una spirale infinita.

Nel Buddismo l’unica concessione che viene fatta all’esistenza di un “Dio” è nella forma di un potere di compensazione insito nella legge di causa-effetto. Egli viene perciò descritto come il dispensatore della retribuzione karmica. Ma mai assume una forma specifica come nelle religioni cristiane o musulmane o comunque adoranti un “Dio personale”.

Come sorge allora nelle fedi monoteiste o politeiste l’idea di un Dio “creatore e signore del cielo e della terra”? E’ evidente che tale pensiero viene strutturato nella mente individuale dell’uomo come un tentativo di dare una risposta ed un senso alla sua identificazione con la forma e con il suo ritenere “vero e reale” il manifestarsi degli avvenimenti osservati nello spazio tempo. Pertanto si suppone l’esistenza di un’entità superiore che “sovrintende” alle attività dell’universo. Questa credenza é sia una consolazione alla propria ipotetica inferiorità rispetto al nostro percepirci come presenti nel mondo sia un pensiero speculativo funzionale all’illusione separativa. In verità l’Universo é un tutto inscindibile e come in un ologramma ogni singola particella contiene quel Tutto in modo integrale. Questo é vero anche in senso logico poiché il Tutto non può essere mai scisso, pur manifestandosi nelle differenze apparenti.

Invero anche quando riteniamo di essere una parte e separati dal Tutto non possiamo fare a meno di affermarlo attraverso la coscienza che è la radice del nostro sentire e l’unica prova del nostro esistere. Tale coscienza è caratteristica comune di ogni forma vivente ed è connaturata nella natura stessa. In fieri, o in latenza, nella materia cosiddetta inorganica ed in evidenza nelle forme organiche, che della materia sono una trasformazione biochimica. Ed è appunto in questa “coscienza”- meglio sarà definirla “consapevolezza”- che la manifestazione prende forma e quindi diventa esperienza sensoriale. E tale Coscienza, in quanto naturale espressione dell’Assoluto, è unica ed indivisibile, essa rappresenta la vera realtà di ogni essere. Sia esso un ipotetico Dio od un’ameba od un germe od una pietra… e di questo la fisica quantistica può darne una dimostrazione. Nel tentativo di scardinare almeno l’ignoranza più grossolana sulla vera natura dell’Essere e dell’Esistere.

Paolo D'Arpini


Non-violenza. Origini ed alcune considerazioni sul suo significato


La non-violenza è un valore che fa parte delle tradizioni etiche di alcune religioni, come si riscontra nel Buddismo, Induismo e nel pacifismo cristiano.

Comunque, ha raggiunto una tale statura, da essere considerato un valore cui aspirare, oltre ad essere divenuto un principio da seguire ed adottare contro la violenza della guerra.

Il miglior maestro della non-violenza dei tempi moderni è Gandhi. Egli è anche considerato dalla maggior parte degli Indiani il fondatore della loro Patria, e da tanti altri come il maggior esponente di questa pratica al punto da essere anche ritenuto una sorta di santo.

Infatti ha sperimentato l’uso della resistenza passiva e della non-violenza sia come approccio filosofico e spirituale alla vita di tutti i giorni, sia come tecnica da seguire per raggiungere un vero cambiamento politico e sociale.

Gandhi era conosciuto tra gli Indiani come “ Mahatma”, ovvero Grande Anima, per il suo coraggio, per la sua semplicità, e per lo straordinario impatto che i suoi insegnamenti avevano su tutti, e per l’esempio di vita che ha saputo dare.

Il tema centrale della ricerca di Gandhi è la “verità” come si può desumere dalla lettura della sua autobiografia intitolata “I miei sperimenti sulla verità”;  riteneva che l’amore per la non-violenza potesse raggiungersi solo con la compassione e la tolleranza per le altre persone e che il suo concreto esercizio implicasse una continua prova, sperimentazioni, a volte errori e continui sforzi.

Forse  il concetto più importante dei suoi insegnamenti è satyagraha, che tradotto letteralmente significa “ la forza dell’anima” o “ la verità dell’anima”.  Questo è un valore che per essere vissuto in pieno, richiede una aderenza piena e interiore al rispetto ed amore per il prossimo.

Mohandas Gandhi nasce in India nel 1869; i suoi genitori appartenevano alla casta dei commercianti Hindu. Egli rimase sempre devoto alla sua religione ma esercitarono forti influenze anche le tradizioni e i valori di altre religioni, come ad esempio il principio pacifista del Cristianesimo, e gli scritti di Thoreau e Tolstoy sui diritti e doveri degli individui di praticare la disobbedienza civile quando le autorità politiche violano le libertà personali e i diritti politici.

Si sposò  molto giovane e studiò Giurisprudenza a Londra. Trascorso un breve periodo in India, il giovane avvocato si trasferì in Sud-Africa, dove fu ostacolato dal sistema delle leggi razziste di quel Paese ( c’era a quei tempi, e attualmente ancora è presente, una nutrita comunità asiatica, in particolare indiana, in Sud-Africa).

Rimase lì  per circa 21 anni, portando avanti una campagna per i diritti degli Indiani, stampando giornali, e sviluppando la sua filosofia della non-violenza. Fu arrestato e torturato più volte dalle autorità britanniche ma egli li servì con lealtà quando lo ritenne giusto. Organizzò, ad esempio, un corpo d’ambulanza durante la guerra Boera, (1899-1902), e la Ribellione degli Zulù (1906), per il cui aiuto offerto ottenne anche una decorazione dal governo.

Nel 1915 Gandhi tornò in India e nel giro di pochi anni divenne il del movimento nazionale Indiano, che mirava ad ottenere l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Quando il governo ritenne fuori legge l’opposizione politica, Gandhi lanciò una vittoriosa campagna contro queste leggi.

Nel 1919 le truppe britanniche hanno sparato su una folla composta da uomini, donne e bambini indiani pacifisti e non armati, che stavano dimostrando; vennero uccisi circa 400 persone in quello che sarebbe passato alla Storia come il Massacro di Amristar.

Questo servì  a sottolineare la differenza tra la resistenza passiva e la brutalità  delle autorità, e aiutò Gandhi a mettere in pratica il principio contenuto nella satyagraha.

Gandhi non condivideva gli atteggiamenti aggressivi degli altri leaders per l’indipendenza indiana; infatti si fece in disparte durante i moti di Bombay nel 1921 e quelli di CHauri-Chaura nel 1922. Continuò piuttosto a battersi per il rispetto dei diritti della casta Hindù dei più poveri, chiamati “intoccabili”,  che egli aveva ribattezzato Harijan, ovvero figli di Dio, e per i lavoratori più deboli, come i manovali e i contadini.

Incitò  gli Indiani a creare delle aziende perché producessero direttamente il cotone, motivo principale dell’occupazione britannica, e perché si potesse così raggiungere l’indipendenza e l’autosufficienza economica ( swarai).

Era contrario alla creazione di due realtà separate composte dal Pakistan musulmano e dall’India induista e infatti, nel 1948 venne assassinato da un fanatico induista che non condivideva la sua tolleranza religiosa, proprio nell’anno in cui l’India aveva vinto la sua battaglia e divenne indipendente rispetto alla Gran Bretagna.

Questo dimostra che si è realizzato quello che molti credevano impossibile: egli è riuscito a far ottenere l’indipendenza a più di 400 milioni di persone, senza sparare neanche un colpo. Inoltre il suo esempio è stata la concreta dimostrazione che, la pratica della non-violenza, può essere uno strumento più che valido anche nel mondo del XX secolo, caratterizzato dalla “Realpolitik”, potere e violenza.

Una delle chiavi per capire in pieno gli sforzi fatti da Gandhi nell’applicare il principio della non-violenza è comprendere la ahisma, ovvero la culla del satyagraha. Come egli stesso disse, “Ahisma e la Verità sono così interdipendenti che è impossibile scindere un concetto dall’altro…. Tuttavia, ahisma è il significato più profondo, la verità ne è la conclusione”.

Risulta però  limitante tradurre il vocabolo ahisma con il concetto di resistenza passiva, perché invece è fondamentale sottolinearne il contenuto di amore attivo. Implica niente altro che la personale ed individuale responsabilità di riformare il pianeta e se necessario soffrire in prima persona.

La base di questa sofferenza ( chiamata tapasya da Gandhi). 

Da un lato, tranne che ci si senta portati alla sofferenza, la profondità  del proprio impegno può essere messo in discussione.

Inoltre, poiché  ogni conflitto porta alla sofferenza, la devozione verso la giustizia del non-violento aumenterà il  senso di sofferenza.

Gandhi ha con forza sottolineato a più riprese che satyagraha deve essere distinta dal passivo desiderio di evitare conflitti a tutti i costi. La classe media in particolare, ha sempre tollerato situazioni scomode pur di poter continuare ad avere una vita sicura e comoda.

“La mia fede nella non-violenza è una forza estremamente attiva”, scrisse Gandhi, “ non c’è posto per i codardi o per i deboli. Si spera che un uomo violento possa, un giorno, diventare un non-violento, ma non c’è speranza per i codardi”:

La non-vilenza e la disobbedienza civile ricerca il diritto di scelta del singolo,e anche l’obbligo di ognuno,di sperimentare fino in fondo le conseguenze di quella scelta ed essere anche giudicati, di conseguenza, dalla società in cui vive.

La scelta della strada della non-violenza non è sempre semplice: arresti, torture, a volte persino la morte possono far parte di questo modo di combattere. Gli individui sono chiamati a svolgere tutte queste funzioni e a soffrire, anche per tutti gli altri.

Inoltre richiede anche un profondo rispetto per i propri nemici; deve basarsi su una profonda onestà e verità. Occorre considerare il proprio nemico molto seriamente e instaurarci un dialogo che lo porti ad una auto-analisi perché possa fargli cambiare direzione senza fargli perdere l’onore.

In un qualsiasi conflitto in cui vengono usate le armi c’è sempre un vinto da una parte, un vincitore dall’altra.

Nel concetto di satyagraha, l’obiettivo da raggiungere è quello che entrambi le parti vincano agendo con l’amore e in armonia reciproca, piuttosto che continuare nella strada della discordia e della violenza.

Gandhi, essendo sempre alla ricerca della verità e della giustizia, non condivideva le dottrine che giustificano ogni mezzo pur di raggiungere lo scopo.

Per i seguaci di Gandhi, la violenza è reazionaria: più si usa violenza, meno si rivoluziona.

Di contro, gli attivisti politici, sia di estrema destra, sia di estrema sinistra, sono inclini ai compromessi morali, convinti che la loro visione del mondo come dovrebbe essere giustifica qualsiasi mezzo pur di ottenere il risultato da essi perseguito.

Lenin, per esempio, affermava che “ per raggiungere i nostri fini, ci uniremo persino con il diavolo”; per Lenin, qualsiasi tendenza moralizzatrice sulla crudeltà di usare mezzi violenti per il raggiungimento degli scopi rivoluzionari, era “ l’ipocrisia insopportabile dei sentimentalisti presa in prestito dalla classe dominante ma marcia”.

Il Reverendo Martin Luther King Junior, leader del movimento non-violento per l’affermazione dei diritti civili durante gli anni cinquanta e sessanta in America, nonché visionario che come Gandhi era una persona molto pratica e orientata al risultato, ha scritto che “ rispondere alla violenza con altra violenza, la moltiplica, rendendo ancora più scura la notte già priva di stelle.

L’oscurità non si combatte con altra oscurità, solo la luce può farlo. L’odio non può sconfiggere l’odio, solo l’amore può sconfiggerlo.”

In pratica, la satyagraha, e le azioni non violente di King si sono espresse sotto varie forme: manifestazioni, boicottaggi, picchetti, scioperi, disobbedienza civile, occupazione non violenta di vari edifici governativi, imprigionamenti di massa, rifiuto del pagamento delle tasse e una volontà di subire abusi dalle autorità e reagire in maniera non violenta, con cortesia, coraggio e determinazione.

Questo, come Gandhi sosteneva sempre, richiedeva molta più forza che premere il grilletto, molto più coraggio che combattere o rispondere ad un attacco.

Le tecniche gandiane non offrivano molta alternativa alla lotta; piuttosto fornivano altri modi non violenti di reagire. Durante una delle sue famose satyagraha del 1930, per esempio, Gandhi arrivò alle miniere di Dharasana con 2.500 manifestanti.

Secondo un testimone oculare occidentale, gli uomini arrivarono al blocco di polizia in silenzio, e vennero picchiati con i manganelli mentre nessuno di loro aveva alzato neanche un braccio per difendersi.

Un modo di dire popolare tra gli attivisti radicali americani durante gli anni sessanta era “potere al popolo”. I seguaci del credo non violento, credono che il popolo sia più potente quando ha un coraggio morale sufficiente da essere immuni non solo alla minaccia rivolta contro ma anche all’inclinazione ad usare la violenza.

L’astenersi dalla violenza  deriva da una chiarezza di propositi che Gandhi avrebbe chiamato “abnegazione” .

Come diceva, non necessariamente ciò significa smaltire la propria rabbia ma trasformarla: “ Ho imparato, attrerso esperienze amare, l’unica vera lezione per mettere da parte la mia rabbia e così come il calore viene accumulato e si trasforma in energia, allo stesso modo la nostra rabbia controllata può essere trasformata in un potere che può smuovere il mondo”.

La non-violenza di Gandhi e dei suoi seguaci, e compresi anche quelli di Martin Luther King, era proattiva piuttosto che reattiva.

Le loro tattiche erano imprevedibili, spontanee e radicali e le autorità governative ne erano chiaramente esasperate.

Satyagraha- la forza dell’anima piuttosto che quella fisica, di sicuro può sconcertare quelli che capiscono la violenza ma che hanno avuto poca esperienza con la forza della verità di Gandhi.

Dopo Gandhi, il maggior esponente e fautore della pratica della non- violenza fu il Reverendo Martin Luther King, che adottò in tutta coscienza la satyagraha per applicarla in America. King studiò la filosofia di Ganfhi e i suoi metodi, viaggiò in India, ed emerse come capo, architetto e leader spirituale delle campagne per i diritti civili con la non-violenza negli Stati Uniti.

Trascorse molto del tempo dagli avvocati per la difesa contro quelle leggi ingiuste che discriminavano le persone in base alla propria razza.

Negli anni Cinquanta e Sessanta i trasporti pubblici, ristoranti, sports, eventi culturali, librerie, e le scuole erano spesso riservate in base alla razza con strutture migliori solo riservate ai bianchi.

Ai neri veniva negato il diritto di voto e purtroppo era relativamente comune il linciaggio degli afro-americani, specialmente ad opera del Ku Klux Klan, una banda semi segreta di bianchi violenti e razzisti.

Forse l’evento culminante della leadership di King nella marcia dei diritti civili, è stata il boicottaggio degli autobus a Montgomery ( Alabama).

Nel dicembre 1955, Rosa Parks, si rifiutò di sedersi in fondo in un autobus pubblico.

Dopo che migliaia di afro-americani camminavano a piedi per andare al lavoro piuttosto che salire su autobus segregati, vennero concessi a tutti i servizi .

Questi erano gli anni in cui il Governatore George  Wallace , di fronte all’università dell’Alabama, impediva l’ammissione ai corsi degli studenti neri e  venivano usate scariche elettriche e cani contro dimostranti pacifici a Birmingham, Alabama.   In tutto ciò, King mantenne sempre una devozione assoluta per la non violenza, basata sulla sua percezione dei principi cristiani. King, come Gandhi, mobilitò una schiera di seguaci non violenti, catturando la coscienza di milioni di persone, raggiungendo obiettivi epocali.

Fondò  la Conferenza Cristiana del Sud, che propugnava la non-violenza, l’azione comunitaria e nel 1963 organizzò a Washington la marcia per il lavoro e la libertà, conosciuta anche come “ la marcia dei poveri” che portò nella capitale americana circa cinquecentomila persone.

Nel 1964 King venne insignito del Premio Nobel per la pace.

Angela Braghin 


 

Bibliografia

D. P. Barash, C. P. Webel, Peace & conflict studies, Sage publications inc.( Cap 19)

Così parlò Deepak Chopra (da pag. 45 a pag. 48)




Il campo quantico di Deepak Chopra

Cercate di pensare a questa organica connessione che c'è tra tutto quello che esiste:
- Non ha importanza quanto separate le cose appaiono ai vostri sensi, niente è separato a livello quantum.
- Il campo quantum esiste, dentro, intorno, e attraverso di voi.
- Voi non state guardando al campo quantum, in ogni sua onda e particella, perché il campo è l'estensione del vostro corpo.
- Ognuna delle vostre cellule è la locale concentrazione di informazioni ed energie che esiste all'interno della totalità di informazioni ed energia del vostro corpo. Come dire che voi siete la concentrazione locale di informazioni ed energia che esiste nel tutto che è il corpo dell'universo.
 
Tirar fuori un nome dalla vostra memoria, provare una emozione, afferrare un concetto, questi sono eventi che cambiano tutto il campo. "quando un elettrone vibra, l'intero universo trema".
Non c'è il più piccolo tremore di attività in qualsiasi delle vostre cellule che passi inosservata attraverso l'intero campo quantum.
In altre parole, il più è raffinato un processo, il più è connesso con l'attività base del cosmo.
 
Riflettete su questi messaggi:
Io non sono i miei atomi, essi vengono e vanno.
Io non sono i miei pensieri, essi vengono e vanno.
Io non sono il mio ego, l'immagine che ho di me stesso cambia.
Io sono al di sopra e oltre queste; Io sono il testimone, l'interprete, il Me che è oltre l'immagine di me stesso. Questo Me è senza età e senza tempo. 
 Il corpo umano è costantemente riempito di messaggi di ogni tipo; i messaggi verbali che ascoltiamo nella nostra testa, sono solo una versione delle informazioni che vengono scambiate da una cellula all'altra ogni secondo
 
Mio commentino:
E' stata una traduzione non facile ma sono soddisfatto del risultato.
Per coloro che percepiscono e sono interessati a questo linguaggio io dico: per me è stato come scoprire  un tutto che mi era totalmente sconosciuto e nel quale credo pienamente perché credo nello straordinario lavoro che gli scienziati stanno facendo in questi ultimi anni da quando hanno potuto sviluppare le loro ricerche nel campo quantum.

Roberto Anastagi



La vita come "continuum" e la formazione di calendari, costumi e tradizioni




Il computo del tempo e la nascita dei calendari è un’operazione puramente convenzionale basata sull’idea di voler fornire sostanzialità ad un evento ritenuto particolarmente importante per una data civiltà che -da quel momento- sancisce la sua fioritura. Sappiamo infatti che sono esistiti ed esistono vari calendari, ognuno con un suo particolare inizio. Alcuni inizi sono stati più significativi e sono perdurati nei secoli altri invece sono stati effimeri e si sono esauriti dopo breve tempo, basti pensare ad esempio al calendario fascista.. che durò pochi decenni.

Nell’antichità remota allorché l’uomo riconosceva la vita come un continuum, senza apparente inizio né fine, il calcolo del passaggio del tempo era immaginato su una scala ellittica che ripeteva cicli e stagioni secondo un ordine stabilito dalla natura. Pertanto il calendario non aveva un vero e proprio inizio bensì manteneva la funzione descrittrice dei cicli naturali ripetentesi – sia pur con variazioni comunque lentissime – (vedasi i tempi delle glaciazioni e delle inter-glaciazioni). Questo calendario “circolare” era assolutamente utile per la conoscenza di quanto andava avvenendo sulla terra e per la regolamentazione delle azioni opportune, i momenti ottimali per compiere determinati atti (semina, viaggi, feste, etc.). In questo sistema quindi si considerava il tempo come una sorte di flusso permanente in cui si riproponevano situazioni derivate dalla natura e -come avviene osservando lo svolgersi ripetitivo della vita animale e vegetale- magari basate su differenti stadi e situazioni di un Essere onnicomprensivo chiamato “Madre Terra”. 

Ovviamente con l’andare del tempo, con l’affermarsi di civiltà teocratiche e di imperi, oppure iniziandosi a stabilire l’insorgere di popoli e di nazioni ecco che subentrò l’abitudine di dare un inizio specifico al tempo, da quel momento il computo divenne “lineare”. Ma -come dicevamo sopra- di inizi ce ne furono parecchi ed ognuno in concorrenza con l’altro… Sicuramente il più antico calendario ancora in vigore è quello indiano che si fa risalire a molte migliaia di anni fa, ma il sistema indiano è basato su epoche (yuga) che ritornano ed ogni epoca ha la durata di migliaia di anni (questa in esaurimento è il Kali Yuga).  Possiamo vedere che alcuni calendari, pur anch’essi alquanto antichi, -ad esempio quello egiziano o sumero-babilonese- pian piano scomparirono con il raffreddarsi degli stimoli e dell’influenza politica e culturale dei suoi fondatori. Il calendario ebraico in qualche modo è rimasto, pur essendo uno dei più recenti del mondo antico per due sostanziali motivi. Il primo è che tale calendario è basato su una immaginaria creazione del mondo, avvenuta il 6 ottobre 3761, che in verità corrisponde alla nascita del concetto di appartenenza ad uno specifico popolo (appunto quello ebraico), che mantenne nei secoli la sua identità attraverso la compattezza delle proprie caratteristiche genetiche (gli ebrei sono solo ebrei e non si mescolano con altre etnie). Il secondo motivo sta nel fatto che questo calendario fu mantenuto, sia pur revisionandolo con un nuovo inizio, dalla “cultura” successiva definita cristiana.

Lasciamo per un momento da parte le connivenze di genere fra ebrei e cristiani e cerchiamo invece di capire come un calendario venga stabilito. Ad esempio il calendario ciclico lunare cinese, basato su un semplice calcolo circolare di commistione fra cinque elementi primordiali e dodici archetipi psichici, si fa risalire (per modo di dire perché a quel tempo ed in quel luogo non conoscevano nemmeno l’esistenza della Palestina) all’anno 2.637 avanti Cristo. Il fatto che, come viene riferito dalle cronache storiche- il momento di inizio corrispondesse al 61° anno del suo fondatore, l’imperatore Huang, e siccome un ciclo completo (che tocca i 5 elementi ed i dodici archetipi) è esattamente di 60 anni (12 x 5), possiamo supporre che quell’inizio fosse conseguente alla consapevolezza che antecedenti inizi c’erano stati in passato (seguendone innumerevoli altri). Infatti per stabilire un inizio in un calendario circolare ovviamente bisogna essere coscienti che si è già all’interno di una sequenza.. quindi quell’inizio è solo un pro-forma per “dare valore e sostanza pratica” al calendario prescelto. Un particolare interessante del calendario cinese è che esso è basato su una serie di ruote o ingranaggi contigui e affini, ma sempre più grandi.. Non volendo scendere né salire troppo dirò che il giorno è come una ruota suddivisa in dodici periodi minori, chiamiamoli “denti” o segmenti di un piccolo ingranaggio, questo ingranaggio va poi a congiungersi (per moto proprio) al successivo “insieme temporale” definito mese lunare che a sua volta contribuisce a creare un anno, l’anno diviene il “dodecennale” che, congiunto ai diversi archetipi, si addentella al successivo ciclo dei 60 anni e che a sua volta forma nuovi cicli sempre più grandi e duraturi… il tutto posizionato lungo una spirale eterna. Insomma provate ad immaginare gli ingranaggi di un enorme orologio dal più piccolo al più grande continuamente e costantemente collegati e ripetentesi nei vari processi (so che non è facile immaginarselo poiché è un’idea alla quale non siamo abituati..). Ma quello che volevo significare con questo discorso è che l’imperatore Huang stabilì in modo formale e convenzionale, in forma di inizio, un calendario che evidentemente era in auge già da tempo immemorabile in quella parte del mondo (infatti il calendario archetipale “cinese” è accettato e usato in tutto l’estremo oriente, dalla Siberia alla Mongolia, dalla Cina al Giappone, etc.).

Torniamo ora al calcolo lineare e soprattutto alla considerazione sull’ipotetico inizio del nostro calendario cristiano. Ma prima di arrivarci esaminiamo il calendario in vigore durante i primi secoli della così detta “era cristiana”. Roma fu fondata, si dice, nell’anno 753 a.C., il dubbio è d’obbligo poiché come abbiamo visto nel caso del calendario cinese anche Roma doveva pre-esistere per poter far dire ai suoi abitanti che era stata fondata… Insomma nel 753 a.C. Quelli che poi saranno i romani decisero che Roma era ufficialmente nata e da qual momento nacque anche il calendario dell’era Romana… Sia pur con quell’inizio anche per i romani il calendario era originariamente un mezzo “circolare” per calcolare gli atti sacrali e mondani che contraddistinguevano la vita sociale, infatti esiste un antico calendario romano di cui una edizione ci è stata tramandata, l’autore della quale “sarebbe” un tal Dionysus Petavius. E qui vediamo che già il nome lascia trapelare qualcosa… Dioniso è il remotissimo Dio identificabile con Shiva che appartiene alla tradizione ancestrale indoeuropea e petavius (dal sanscrito peta) significa antenato. Perciò è facile dedurre che si tratta di un calendario tramandato da illo tempore e poi “codificato” ufficialmente con la “fondazione” di Roma. Ed ora consideriamo cosa avvenne attorno all’anno mille di Roma, in quel periodo stavano maturando due fatti contigui e consequenziali. Roma in seguito all’espansione imperiale ed al mescolamento continuo delle culture aveva perso gran parte delle sue tradizioni ancestrali, le religioni all’interno dell’impero erano molteplici e spesso in contraddizione e conflitto tra loro.. Il potere romano aveva cercato di unificare politicamente le varie popolazioni d’Europa, d’Africa e d’Asia, che facevano parte dei suoi sconfinati domini, attraverso l’imposizione di una unità amministrativa politica e militare lasciando però -per ammorbidire la stretta- ampia libertà di culto religioso e di usi e costumi ai vari popoli. 

Durante il terzo secolo d. C., corrispondente all’anno 1000 di Roma, era andato consolidandosi un culto di origine ebraica, derivato dalla setta degli Esseni, che a differenza della tradizione giudea accettava i convertiti al suo interno, senza che questi dovessero necessariamente essere di origine ebraica. Questo nuovo metodo favorì grandemente lo sviluppo della nascente nuova religione nell’Impero, soprattutto presso le classi povere, poiché fra i primi cristiani -come tra gli ebrei e tra gli esseni- vigeva la pratica della mutua assistenza e solidarietà fra correligionari (lo stesso antico metodo di mafia ed affini). Con l’impoverimento progressivo delle popolazioni e la disgregazione del potere temporale, l’unico legante che univa il mondo romano fu la condivisione del nuovo credo religioso, da quel momento definito “cristianesimo”…. Si noti bene che il cristianesimo prese ad avere la diffusione più virulenta attorno all’anno mille di Roma (da qui l’idea successivamente riportata anche in epoca medioevale di mille e non più mille). Si fa inoltre presente che all’epoca del Concilio di Nicea (nel 325 d.C. anno di Roma 1078) ancora non si sapeva o poteva indicare una data certa sull’ipotetica nascita di Cristo… E la partenza ufficiale del nuovo calendario cristiano avvenne non prima del V o VI secolo d. C. allorché si stabilì una data convenzionale per la nascita del Cristo fissandola appunto al 753° anno dalla fondazione di Roma (corrispondente all’anno 1 della nuova era). Successivamente essendo crollata la potenza temporale di Roma nel mondo conosciuto rimase il suo primato religioso in forma di cristianesimo con il nuovo calendario. Tra l’altro questo calendario servì enormemente all’espansione ed affermazione del cristianesimo, ponendosi come legante comunitario riconosciuto anche presso le nuove popolazioni barbariche che pian piano occupavano i confini dell’ex impero o presso i nuovi stati che sorgevano oltre quei confini, ad oriente….. Insomma il calendario cristiano era ed è tutt’ora -come fu il latino in precedenza e come è l’inglese oggi nel mondo- un elemento di coesione e di imposizione di una cultura. Infatti il calendario cristiano viene oggi utilizzato per consuetudine in tutto il mondo (anche nei paesi non cristiani che sono per altro la maggioranza).

Ma i calendari sono cambiati per le civiltà antiche cambieranno ancora, non c’è dubbio, 

Quale sarà il nuovo calendario per l’umanità dei millenni avvenire? Forse l’identità con l’esistenza stessa della vita sulla terra riporterà l’umanità alla considerazione del tempo circolare e magari per i calendari futuri non sarà più necessario che vadano avanti coi numeri a partire da….. per finire non si sa quando, potranno cambiare -ad esempio come avviene in India- con l’avvento di ogni yuga… yuga dopo yuga.. sempre lo stesso tempo è…. 

Paolo D’Arpini 



Jahwè, Prete Gianni, Giano bifronte... matrici per un'unica entità


Affresco di Carlo Monopoli

Il perfezionamento dell'uomo è legato all'autoconoscenza, riconoscimento delle possibilità della natura umana. Ancora oggi quindi è più che mai valida l'antica formula del tempio di Delfi: "Conosci te stesso".

Lavorare su se stessi e cercare di comprendere il senso della nostra vita è in fondo arricchire di sapore il nostro nutrimento immaginativo. Il pericolo di far marcire quel "sale" e quel "lievito" di cui parla il Vangelo è scongiurato nella misura in cui ci si sa rinnovare e ciò significa indagare continuamente dentro di noi il mistero dell'essere. Per far questo occorre davvero un'opera tale "che il verme strisciante in terra formi l'angelica farfalla che vola alla giustizia senza schemi"
(1).


Costruire da dentro, anche in senso matematico, osservando, sperimentando e ragionando "e non soltanto pregare od adorare, [...] e costruire sopra fondamenta sicure e salde e non sopra credenze, pregiudizi ed illusioni"
(2) è oggi davvero più che mai indispensabile.

Anticamente, colui che così lavorava, forgiando in sé tale "opera", veniva detto "fabbro" e con questo termine veniva indicato un grado dell'iniziazione raggiunta.
Ricordiamo qui per inciso che il primo fabbro della Bibbia è Tubalkain
(3). Questo nome si scrive con le lettere TAW-VAV-BET-LAMED-QOF-IOD-NUN, valori numerici 400-6-2-30-100-10-50, totale 598, sintesi 22, ed è curioso notare che il prodotto 5 x 9 x 8 è 360. Vi è perciò nel nome del primo fabbro biblico una relazione precisa fra il 22 e il 360. Poiché però l'alfabeto ebraico è espressione del 22 tramite il numero delle sue lettere, e il cerchio lo è del 360 tramite i gradi dell'angolo giro, abbiamo, per estensione, una relazione fra valori numerici e valori geometrici.

Gli arnesi del fabbro, la squadra e il compasso - strumenti di misurazione associabili rispettivamente ai valori numerici della scrittura ebraica, detta quadrata, e ai suoi valori geometrici, che, come abbiamo visto, hanno a che fare con i 360 gradi del cerchio - sono dunque anche gli strumenti moderni dell'Io, cioè dell'iniziatore presente in noi come "Janitor" o come "prete Gianni" dei nuovi tempi.
La radice del nome "Gianni" è stata studiata come elemento portante ed armonizzatore fra varie religioni, mitologie e mistiche.

"Ianua" significa in latino "porta".
In ebraico

è il diminutivo di

il Nome dei nomi.

La porta e il Nome divino sono identificabili in un unico elemento: l'Io di Gesù di Nazaret, quando dice, nel Vangelo di Giovanni: "Io sono la porta".

"Porta" è in ebraico la parola "dalet", formata dalle lettere DALET, LAMED, TAW, in valori numerici 4-30-400, totale 434, l'esatto numero delle parole ebraiche che costituiscono il primo resoconto della creazione narrato nel primo libro della Bibbia, la Genesi, che è la "porta" da cui si entra nel testo biblico.

Si noti che la sintesi di 434 è 11, il cui VS si indirizza ai 66 libri canonici della Bibbia. Il VS di 11 è infatti 66, numero che abbiamo visto precedentemente collegato alla "creazione" (cap. 7 p. ) e che esprime, come valore numerico, molti altri concetti, che rientrano nell'idea di ciclicità:
11(11+1)
VS 11 = -------- = 66
2
Il simbolismo di "Giano" è, anche da 
questo punto di vista, altrettanto importante grazie ad un accostamento preciso con il Cristo.
Si trovano infatti pubblicazioni
(4) in cui Cristo è raffigurato esplicitamente sotto le sembianze di Giano. Sui monumenti romani, Giano appariva con la corona in testa e con scettro e chiave nelle mani, mostrando così che egli era il Re che apriva e chiudeva le epoche ed è per questo motivo che i Romani gli consacravano le porte delle case e delle città(5).

Ed anche il Cristo, "come l'antico Giano, porta lo scettro regale cui ha diritto in nome del Padre Celeste e dei suoi antenati di quaggiù; e con l'altra mano tiene la chiave dei segreti eterni, la chiave tinta del suo sangue che aprì all'umanità perduta la porta della vita"(6). Per questo, nella quarta grande antifona prima di Natale, "la liturgia sacra lo acclamava così: 'O Clavis David, et Sceptrum domus Israel!... Tu sei, o Cristo atteso, la chiave di David e lo Scettro della casa di Israele. Tu apri, e nessuno può chiudere; e quando chiudi, nessuno può aprire'..."(7).
Anche il nome latino "januarius", "gennaio", ha la stessa radice del nome "ianus" e la stessa importanza di "porta" dell'anno.

 Franco Toscani

Simbolo del Prete Gianni

Ciò appare ancora più evidente se si calcola il valore numerico complessivo relativo al Cristo. Se infatti, con lo stesso procedimento con cui abbiamo rilevato i valori geometrici della parola greca "Christós", ne calcoliamo i valori numerici, abbiamo un risultato sorprendente: le lettere stesse di "Christós", CAF-RESH-IOD-SAMEK-TET-VAV-SAMEK, dànno la somma numerica:
20+200+10+60+9+6+60 = 365,
numero dei giorni dell'anno ordinario.

"Christós" è dunque essenzialmente l'espressione del ciclo annuale e risponde così alle caratteristiche di "testimone fedele" del Libro della Formazione, là dove dice: "testimoni fidati: il mondo, l'anno e l'uomo" (cfr. capitolo precedente).
L'"Avvento", cioè la venuta di Gesù di Nazaret, risolve nella conoscenza dell'"Io sono" ogni monopolio di conoscenza misterica e nelle parole "Io sono la porta" va intesa la rivoluzione solare dell'anno.

Tali parole esprimono però anche un'altra rivoluzione, quella capace di conferire la forza di rovesciare le sedie dei venditori di colombe...(8).
Il Re del mondo viene infatti per instaurare una monarchia nuova in cui diviene essenziale vivere consapevolmente la realtà-regalità dell'Io.
Vi era, nel medioevo, un'espressione che riuniva in sé tutto questo significato di rivoluzione riguardante un nuovo concetto di autorità: a quell'epoca, si parlava spesso di una contrada misteriosa chiamata "Regno del prete Gianni". 

Si dice addirittura che Gengis-Kan abbia cercato di attaccare quel regno, ma che il prete Gianni lo abbia respinto, scatenando la folgore contro i suoi eserciti. I seguaci di Gianni erano chiamati, in Asia Centrale e particolarmente nella regione del Turkestan, "Mendayyeh di Yahia", che significa appunto "Discepoli di Gianni".

Gianni e il Nome di Dio, cioè Yahia e Yahwe, sono sostanzialmente porta dell'individualità, l'Io che in ogni uomo oggi si fa sentire come impulso naturale.


L'uomo antico, invece, parlava indicando se stesso in terza persona, esattamente come fanno i bambini (cfr. la nota 5 nel primo capitolo). L'infanzia dell'umanità e l'infanzia del singolo uomo sono, da questo punto di vista, similari.
Ora, se l'uomo antico diceva: "la mia anima è", il vero Re del mondo, cioè il Messia, dirà: "Io", "Io sono", "Io sono l'Alfa e l'Omega"
(9), una porta iniziatica nuova, che presuppone, nel novello "io", l'essenza della "via", della "verità" e della "vita".
Detto con altre parole, il prete Gianni, in quanto "Signore dei tempi" è lo Janitor, eterna presenza in ogni uomo del maestro, iniziatore e armonizzatore del dualismo fra inizio e fine, Alfa e Omega, partenza e traguardo del cammino vitale, in cui la verità dell'Io permane.

D'altra parte "initiatio" deriva da "in-ire", "entrare", che si ricollega pure al simbolismo della "porta". Secondo Cicerone, il nome di Giano ha infatti la stessa radice del verbo "ire", "andare"; questa radice, "i", si trova d'altronde, nella lingua sanscrita, con lo stesso senso del latino, ed ha fra i suoi derivati un termine molto simile a "Giano": "yana", che significa "via", "tao", nella tradizione estremo orientale.
In tal senso, i contenuti dell'iniziazione di Giano, cioè delle "dottrine" del "prete Gianni", sono riconducibili al 
presupposto essenziale del dualismo Yin-Yang, in cui gli aspetti del lato oscuro e del lato luminoso della natura, hanno nel "tao", il loro principio supremo. Essi comporterebbero allora la concezione della fondamentale bontà ed autosufficienza della natura umana, necessitante solamente di un processo di autocritica e di autorealizzazione per essere completa, cioè una concezione dell'uomo molto vicina alla filosofia confuciana secondo la sistematica esposizione elaborata da Mencio, primo grande filosofo del IV secolo a.C. della tradizione confuciana.

Vero "fabbro", vero "janitor" o iniziatore dell'"opera" è dunque l'Io umano, superatore di tale dualismo.
E' singolare, a questo proposito, che l'antica festa di "Ianus bifrons", "Giano bifronte", l'antica divinità latina dalle due facce, fosse celebrata a Roma dai "Collegia Fabrorum" ai due solstizi: i due volti del dio guardavano simbolicamente al passato e al futuro, rappresentati dalle due porte solstiziali, cioè da due periodi dell'anno: il primo, quando il Sole entra nel segno del Cancro, il secondo quando entra nel segno del Capricorno.

Di questi due segni dello zodiaco abbiamo rilevato la connessione con l'8, simbolo dell'infinito(10), ma che ora dovremmo anche chiamare: simbolo dell'iniziazione di Giano.
Ciò che sorprende è che il dio dell'iniziazione in realtà era proprio Giano, il quale "presiedeva i 'Collegia Fabrorum', depositari delle iniziazioni che, come in tutte le civiltà tradizionali, erano legate alla pratica dei mestieri"
(11).
Il "prete Gianni", Giano, e il Nome dei nomi, occupano oggi l'anima umana, tramite l'"Io sono", che solo al principio della nostra era poté veramente incarnarsi.


Ogni confessione religiosa, capace di rapportarsi consapevolmente oltre la sfera materiale delle cose, non può che chiamare la parola "Io" il "Nome dei nomi" o il "Nome impronunziabile di Dio". Nessuno infatti può pronunciare quella parola come si fa con le altre, richiamando cioè un oggetto.

Infatti la controparte oggettiva del concetto "Io" è in realtà un soggetto e ognuno lo può pronunciare solo per sé. E' il santuario nascosto dell'anima, in cui riesce ad entrare solo chi è fatto della medesima natura di questa.
Il Dio che abita nell'uomo - il cui nome, trasmesso a Mosè
(12) con le parole "Eié ascèr Eié": "Io sono l'Io sono", parla quando l'anima riconosce se stessa come Io.



"Eié ascèr Eié": "Io sono l'Io sono"

Se prendiamo ora i valori geometrici dei termini "Eié", 3-8-18-8, somma totale 37, ed "ascèr", 3-180-120, somma totale 303, e disponiamo numericamente nella sua estensione la formula di autopresentazione di Dio abbiamo:
(3 7) + (3 0 3) + (3 7).
"Eié + ascèr + Eié"
Con la somma delle cifre che compongono i tre risultati
(3+7) + (3+0+3) + (3+7)
otteniamo:
(10) + (6) + (10)
che sono i valori numerici delle lettere IOD-vav-IOD, con le quali si scrive la prima lettera dell'alfabeto ebraico, l'ALEF:

struttura dell'ALEF

L'Uno ebraico: , cioè l'ALEF, è strutturato dal 26 e si potrebbe dire composto da tanti "mattoni" quanti servono per strutturare il Nome dei Nomi , infatti:
10 + 6 + 10 = 26
esattamente come
10 + 5 + 6 + 5 = 26

Ciò spiega l'importanza del Monoteismo per il giudaismo, ma diventa anche oltremodo significativo se pensiamo al valore numerico 26 - calcolato nel capitolo precedente - del termine ebraico "atsmo", che traduce il pronome personale "Sé", che vogliamo intendere qui come parte superiore dell'Io umano.
Si noti altresì che le tre parole dell'auto-presentazione di Dio, cioè "Io sono l'Io sono" sono un insieme di undici lettere e poiché l'11 è un numero ciclico, potremmo dunque dire che anche l'"Io sono" rientra in una struttura di tipo ciclico.

In tale frase possiamo scorgere un altro importante nesso. Si tratta proprio del nesso con la sapienza di Colui che la pronuncia. Ciò appare evidente leggendo il 37, numero dell'"Io sono", da destra a sinistra al modo ebraico. Il 73 che ne risulta è infatti proprio il numero della "sapienza", "hakmah", che si scrive con le lettere CHET-KAF-MEM-HE, valori numerici, 8-20-40-5, somma totale 73.
Attraverso le parole dell'autopresentazione, l'"Io sono" ci rivela occultamente che Egli è Sapienza, una Sapienza il cui carattere trinitario può essere espresso matematicamente: questo numero(13) è infatti il solo di due cifre che, moltiplicato per la loro somma, da' un prodotto uguale alla somma dei loro cubi, cioè "valori elevati alla terza potenza".
Lo esprimiamo come segue:

37 x (3+7) = 33 + 73

L'iniziazione del "prete Gianni" o del dio Giano è dunque un'iniziazione all'Io sono. La Sapienza, che tale iniziazione comporta, conducendo alla consapevolezza del Sé, conduce alla "salvezza".

Se facciamo ora la somma dei valori numerici dell'autopresentazione una volta considerata da sinistra a destra e un'altra al contrario, abbiamo due risultati diversi che però hanno la medesima sintesi numerica 17:

37+303+37=377
73+303+73=449
3+7+7 = 17 4+4+9 = 17
E da qui possiamo vedere come il 449 sia in relazione con il numero 144, numero delle migliaia dei "salvati"(14):
4 x 4 x 9 = 144

Si noti oltretutto la seguente relazione fra il 73 e il 144: il prodotto dei quadrati delle cifre 7 e 3 è 441, cioè il 144 letto da destra a sinistra secondo il modo ebraico:
72 x 32 = 49 x 9 = 441

Considerando ora la Bibbia nel suo insieme di libri canonici e deuterocanonici, in tutto 73 come abbiamo visto nel quarto capitolo, possiamo ora renderci conto da un altro punto di vista di come il 73 - inteso come "libro della salvezza" - sia collegato appunto con il numero dei salvati, cioè di coloro che seguirono, si potrebbe dire, il "sentiero" del 73. Ritorneremo ancora sul tale "sentiero" più avanti.
Poiché quanto viene qui prospettato come iniziazione del "prete Gianni" o di Giano o dell'Io, potrebbe facilmente far sorgere il malinteso che in tale visuale l'individualità umana sia considerata una cosa sola con Dio, vorremmo puntualizzare che per noi l'Io umano è della stessa natura ed essenza di quella divina, ma nel modo in cui la goccia d'acqua lo è rispetto al mare.
Ogni uomo ha pertanto la facoltà di trovare il divino partendo proprio da se stesso(15), operando in tal modo la vera rivoluzione del nuovo tempo e aprendo così la porta al terzo millennio e al suo specifico impulso acquariano, identificabile nella parola-chiave "Io so". Per questo motivo, il secolo futuro non potrà che essere un periodo di anelito alla gnosi, alla conoscenza(16).

A cura di Nereo Villa







(1) A. Reghini, "I numeri sacri", Ed. Ignis, p.124.(2) ibid.(3) Genesi, 4,22. (4) "Regnabit", maggio 1925: Un ancien emblème du mois de janvier, Charbonneau Lassay, cit. di R: Guénon in "Simboli della scienza sacra", Ed. Adelphi, p. 117.(5) ibid. p.118.(6) ibid. (7) ibid. p. 118, n. 3: Breviario Romano, Uffizio del 20 dicembre. (8) Matteo 21,12; Marco 11,15; Luca 19,45; Giovanni 2, 14-15.(9) Apocalisse 1,8; 21,6; 22,13.(10) Anche la natura ci fornisce, se la sappiamo osservare, eccezionali spunti di riflessione e indagine per il rilevamento delle connessioni fra la vita terrena e celeste: se pensiamo al giglio - fiore di cui abbiamo ampiamente trattato per la sua ricchezza di significati - possiamo constatare che fiorisce nel mese di giugno, quando si entra cioè nel segno del Cancro. Siccome sappiamo il giglio avere a che fare con il numero 6 (6 sono i petali e 6 sono gli stami) e con il numero 8 - sintesi di 26, (2+6=8) numero ricavato dal termine ebraico per giglio "havatsèlet" - forse non è un caso che fiorisca proprio nel 6° mese dell'anno sotto il segno del Cancro, la cui lettera zodiacale è la ottava dell'alfabeto ebraico, la CHET, che ha valore numerico 8. (11) R. Guénon "Simboli della scienza sacra", Ed. Adelphi, p.213.(12) Esodo, capitolo 3, versetti 13-16.(13) Sempre indagando a proposito del giglio si può scoprire il numero 37, calcolando sia la somma dei suoi VS numerici che quella dei suoi VS geometrici. I Valori Segreti (numerici e geometrici) di CHET-BET-TZADE-LAMED-TAW, lettere di "havatsèlet", il giglio, sono rispettivamente: 36-3-4095-465-80200, somma totale 84799, sintesi 37, e: 78-10-2628-300-64980, somma totale 67996, sintesi 37. E' abbastanza singolare e raro che le due sintesi coincidano, nonostante provengano da due diversi sistemi di calcolo. Volendo poi ulteriormente sintetizzare questo risultato, otteniamo il 10 (3+7=10) e ancora l'Uno (1+0=1). Rimandando al Cap. VII dove abbiamo visto "havatsèlet" anche come 26, possiamo vedere come, anche da questo punto di vista, il 26 sia metamorfosi dell'Uno. (14) Apocalisse, 7,4; 14,1.
(15) Cfr. R. Steiner "La scienza occulta", Ed. Antroposofica, p. 55 e 56.(16) Gnosi, simbolica di Saturno e conoscenza iniziatica del "Prete Gianni", sono in realtà tre diverse espressioni per una medesima realtà, riguardante l'autocoscienza e propiziata già dal tempo dei misteri di Delfo tramite le parole "Conosci te stesso". Infatti, Oannes, cioè Giovanni (= il Prete Gianni) di cui narra Berosso, sacerdote di Bel nelle sue Storie babilonesi, non è altro che Ea, Saturno. Da questo punto di vista, l'attesissimo 'Redentore' può essere identificato con Saturno, pianeta della conoscenza e del massimo raggiungimento possibile del conoscere umano: il Sé spirituale. (Cfr. Santillana-Dechend, "Il mulino di Amleto", Ed. Adelphi, p. 472). Ora, si può rilevare anche la seguente coincidenza numerica: il numero delle lettere della formula dell'"Io sono": "Eié ascèr Eié" è 11, proprio come quello della sintesi del nome "Sabbathai", "Saturno", in lettere SHIN, BET, TAV, ALEF, IOD, dunque 300-2-400-1-10, totale 713, sintesi 11.


Fonte: http://digilander.libero.it/VNereo/ilprete.htm