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Era ecozoica ed il riconoscimento dell’unitarietà biospirituale

L’era ecozoica é un tempo a cui noi tutti aspiriamo e che cerchiamo, con la pratica e con la teoria, di rappresentare” (Caterina Regazzi)



Volendo abbracciare in un unico contesto il concetto di spirito e di vita, come presumibilmente avveniva durante il periodo gilanico, un tempo in cui c’era solidarietà, impegno civile, coscienza dell’ambiente, della fatica e dei pericoli ma allo stesso tempo spensieratezza, e desiderando riportare quella esperienza unitaria nella nostra vita quotidiana mi sono ritrovato a dover decidere quale parola potesse maggiormente indicare quel pensiero. Durante uno scambio epistolare con l’amico bioregionalista Stefano Panzarasa, matrista convinto, lui ha suggerito di usare il termine “religiosità della natura”, come proposto dal filosofo Thomas Berry. La parola in se stessa è molto evocativa di un ri-congiungimento con l’anima naturale.
Allo stesso tempo il significato di religione (dal latino religio) è “ri-unire” ma non si può affermare che la vita abbia mai avuto separazioni in se stessa.. Se avesse subito una separazione non sarebbe più vita.. Infatti nel periodo matristico anche la morte era considerata una fase nel processo vitale. Quindi parlare di religione della natura può essere fuorviante. Poiché in natura è già un tutto unito, un unicum.
Preferirei magari usare la parola “biospiritualità”, neologismo antico e nuovo per descrivere ciò che è sempre stato e sempre sarà….
“Ho imparato il silenzio dalle persone loquaci, la tolleranza dagli intolleranti e la gentilezza dagli uomini scortesi. Non dovrei provare gratitudine verso questi insegnanti?” (Khalil Gibran)
A volte, sembra che le parole nascono per creare discordia fra gli uomini….. L’incomprensione sorta con la diversità dei linguaggi, volendo comprendere l’altro attraverso il linguaggio, è alla base delle antipatie che gli esseri umani percepiscono gli uni verso gli altri… Prova ne sia il negro che ci parla in bantu viene visto con sospetto e timore.. mettete che lo stesso negro si mette a parlare in italiano, o addirittura nel nostro dialetto familiare, ecco che improvvisamente diviene uno di noi.. un fratello di colore diverso. Questa verità l’ho potuta sperimentare svariate volte a Calcata dove la comunità etnica è molto variegata però siccome parlavamo tutti allo stesso modo, al massimo con un leggero accento straniero (tra l’altro ognuno di noi aveva un leggero accento d’origine), ecco che eravamo tutti calcatesi.. indipendentemente se siculi, romani, veneti, europei est ovest, americani nord sud, africani, etc. etc.
Il linguaggio comune unisce… ed all’inizio tutti gli umani parlavano la stessa lingua, il “nostratico” viene chiamata in glottologia, poi da quella radice, nella diaspora umana planetaria, sono sorti rami e ramoscelli sempre più diversi… La mitologia della torre di Babele è simbolica ma veritiera… Gli uomini appena salvatisi dal diluvio universale invece che andare a ri-abitare il pianeta, ridiventato fertile dopo il cataclisma, si concentrarono tutti in un luogo e cominciarono ad erigere un monumento di ringraziamento a Dio (forse però a quel tempo era la Dea), simbolicamente questa torre zigurratica saliva sempre più in altezza (per arrivare in cielo) ma l’uomo è fatto per la terra e così Dio (o la Dea) confuse i linguaggi.. e gli uomini che non potevano più comprendersi si allontanarono in gruppi omogenei alla conquista del mondo.. chi qua chi là, chi su e chi giù, finché tutto il pianeta fu abitato…
Certo questa è una favola.. ma fa pensare come la differenza delle lingue allontani l’uomo dall’uomo. Sarà per questo che in ogni epoca un potere emergente cerca di stabilirsi attraverso una lingua? Sicuramente è avvenuto così.. il sanscrito, il greco, il latino… ed ora l’inglese, come lingue veicolari temporali, ne sono riprova.
Ma aspetta aspetta.. non intendevo fare un discorso semantico linguistico.. anzi.. volevo parlare dell’unico elemento che è in grado di unire e di far riconoscere l’uomo in se stesso e agli altri come manifestazione della stessa matrice vitale. Questo elemento è la “coscienza-intelligenza”, che unisce tutti i viventi e -in latenza- anche il mondo inorganico.
Questa coscienza/intelligenza è stata definita da tempo immemorabile “spirito” (diverso da anima che sottintende una personalità individuale). Lo spirito tutti ci accomuna e la “spiritualità laica” è la comprensione sincretica che ognuno compartecipa allo spirito. Spirito e vita sono consequenziali ed inseparabili. Perciò lo spirito non può divenire mai appannaggio di alcuna religione, poiché le religioni sono create da e per le anime, per le persone che si considerano separate. Per tale ragione spesso definisco la vera spiritualità come “laica” (dall’antico significato del greco “laikos” al di fuori di ogni contesto sociale e religioso).
Ma questo termine, spiritualità laica, non piace a molti.. oppure alcuni cercano di spiegarla a modo loro, come una forma di credo para-religioso, si professano “spiritualisti laici” i massoni, i cristiani che conducono vita secolare, gli aderente alle nuove religioni new-age, etc. Mentre altri, completamente contrari al concetto di “spirito” negano che possa esistere una qualsiasi spiritualità in qualsivoglia forma.
Insomma, per fare chiarezza e definitivamente sancire l’indissolubilità tra spirito e materia, mi è venuto in mente di spiegare questa spiritualità laica come “biospiritualità”.. in modo che così siano tutti felici e contenti, sapendo che vita e spirito sono la stessa cosa.
E cosa si intende per biospiritualità? Vuol dire che il più alto ottenimento si ottiene qui ed ora, non in qualche altro luogo od in qualche altro tempo. Non siamo in in esso ogni momento dell’esistenza. La Realtà Suprema non è in un altrove ed a parte da questa esistenza. La Terra, l’Universo ne sono impregnati. Biospiritualità è l’espressione, l’odore sottile, il messaggio intrinseco, che traspira dalla materia tutta. Il sentimento di costante presenza indivisa.. la consapevolezza dell’inscindibilità della vita, riconoscibile in ogni sua forma e componente, partendo dal “soggetto” percepiente, questa è la pratica stabile dell’essere biospirituale. La conoscenza suprema significa sapere che tutto quel che “è” lo è in quanto tale. Perché l’esistente è uno, non può esserci “altro”…
Ed infatti l’ostacolo posto dalle religioni è proprio quello di immaginare uno stato “altro” da ottenere, superiore od inferiore che sia, diverso da quello presente. Ma allorché l’ignorante oscuramento viene rimosso dal cuore dell’uomo, improvvisamente ci troviamo a Casa. Possiamo definire questo stato “liberazione” dall’illusorio senso di separazione… poiché la biospiritualità non può ammettere separazione.. ma solo diversità nei modi espressivi e nelle forme esteriori.. E qui ritorno all’esempio della comunità calcatese in cui tutti eravamo calcatesi, nessuno escluso (me compreso che non abito più a Calcata……).
Al momento opportuno ognuno di noi sentirà l’impulso a riconoscersi in quel che è ed è sempre stato.. e questo è lo scopo della biospiritualità. Ed è un modo per andare verso la nuova era ecozoica auspicata da Thomas Berry.


Paolo D’Arpini

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