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Se Tutto è Uno a che serve mettere sul piedistallo la strana creatura che siamo?


Foto di Gustavo Piccinini

Cito da Le radici naturali dell'ordine sociale e l'elica immortale: "Già migliaia di anni fa l'idea di Natura, quale orizzonte di riferimento del comportamento e dell'ordine sociale, dunque politico, economico e religioso, era profondamente avvertita a livello popolare. 

Cielo, terra, acqua, fuoco, aria, piante, animali ed uomini, costituivano l'orizzonte dell'esistenza dei popoli antichi ed erano definiti come Neter, gli spiriti segreti divini che abitano il vivente. Per secoli i Neter hanno rappresentato un concetto chiave attraverso il quale i sacerdoti sumeri ed egizi ed i filosofi greci cercavano la verità, per penetrare il mistero della vita, della creazione e per ordinare la società. Già per gli antichi egizi, ad esempio, intermediaria dei Neter con gli esseri umani era Maat, la coscienza, fonte suprema di giustizia e di verità alla quale doveva essere informato il comportamento sociale di ogni individuo. 

Oggi sappiamo che per le lingue greca e copta l'ambito dei Neter in cui la Divinità si manifestava agli uomini come energia e vita, è la radice letterale della parola “Natura”. Era dunque nella Natura che l'antichità remota cercava i fondamenti dell'esistenza, della politica, dell'economia, della religione, del comportamento ed il modo di organizzare l'ordine sociale?".

 Premesso che i filosofi greci avevano acqusito la maggior parte delle loro conoscenze dai sacerdoti dell'antico Egitto, il loro "Hen to Pan", a mio avviso precede di secoli la fisica moderna. Sono convinto che la consapevolezza che "Tutto è Uno", renderebbe il mondo completamente diverso. Quanto alla definizione di "spirito" come "inutile" ci andrei piano, Io l'ho riferito al tempo in cui gli egizi tremavano al tramonto per la paura che il sole non risorgesse il giorno seguente. In queste condizioni di angoscia essi non potevano che affidarsi alla Natura (Neter) come a qualcosa di misterioso e inaccessibile per cercare una condizione, un appiglio che li liberasse dall'angoscia e dalla paura. 


Da questo e da fenomeni che non erano in grado spiegare, come la morte, probabilmente, nacquero i "miti". Ciò che noi oggi intendiamo per "spirito" fa parte dei "miti" che l'Umanità si è data nei secoli, ai quali ognuno è in grado di dare una spiegazione "personale". 

Da questo sono nate le credenze e le religioni. Per cercare di chiarire questo concetto riporto ancora una volta, per semplicità e perché mi torna più facile, la seguente citazione ripresa dal solito libro di cui sopra: "Davanti ai fenomeni che la Natura propone, i primitivi rischiano di perdersi, di cadere continuamente nello smarrimento, nello sconforto o nell'angoscia della morte. In "Dio nel cervello", A. Newberg ed E. d'Aquili illustrano con un esempio illuminante come gli ominidi potrebbero essere pervenuti alla genesi del mito religioso. I due scienziati immaginano che ...

"… un clan preistorico molto unito, un uomo della tribù è morto e il suo cadavere è stato deposto su una pelle d'orso. Alcuni membri del clan si avvicinano, lo toccano delicatamente e capiscono che il loro amico un tempo vivo adesso non esiste più. Quella che fino a ieri era una persona calda e vitale è divenuta un corpo freddo e inerte. Il capotribù, un uomo riflessivo si siede accanto al fuoco del bivacco e medita sulla forma senza vita che un tempo parlava e rideva con lui. Che cosa è venuto a mancare? si chiede. Come si è perso e dove è andato questo qualcosa? Mentre guarda il fuoco scoppiettante sente lo stomaco tendersi per l'ansia e la tristezza. Ha urgenza di trovare una ragione e pensa che non avrà pace finché non l'avrà trovata; ma più riflette sul tormentoso mistero della vita e della morte, più sprofonda nell'angoscia esistenzial". 

Ora - continua il racconto - mentre il capo tribù continua a macerarsi nel dolore e nella tristezza la risposta eccitatoria s'intensifica, il polso accelera, il respiro si fa rapido e poco profondo e la fronte si imperla di sudore.

"Meditando sui suoi problemi il capotribù fissa con aria vacua il fuoco, che presto brucia fino alle braci. Quando le fiamme si spengono tra gli ultimi crepitii, ha un'intuizione: il fuoco era un tempo vivo e luminoso, ma adesso è spento e presto resteranno solo grigie ceneri inerti. Quando le ultime volute di fumo salgono al cielo, il capo si volta verso il corpo dell'amico morto e pensa che la sua vita e il suo spirito siano scomparsi come sono scomparse le fiamme. 


Prima di esprimere consciamente quel pensiero è colpito da un'immagine: l'intima essenza dell'amico sale come il fumo in alto, come lo spirito del fuoco ascende al cielo."
Per i due scienziati la convinzione che produce il “mito” nasce come un'idea qualsiasi: una delle tante ipotesi che emergono continuamente nell'emisfero sinistro del cervello attraverso le quali l'uomo antico, come quello moderno, cerca di dare risposte plausibili e ordinate ai problemi complessi dell'esistenza che non è in grado di risolvere. Il racconto dei due scienziati, infatti, così prosegue:

Quando il concetto astratto dell'ascesa dello spirito al cielo affiora alla coscienza del capotribù, esso si “accoppia” con una delle soluzioni emozionali dell'emisfero destro. Di colpo l'accordo di entrambi gli emisferi induce una risonanza neuronale che invia scariche positive in tutto il sistema limbico per stimolare i centri del piacere nell'ipotalamo. Poiché l'ipotalamo regola il sistema nervoso autonomo, i forti impulsi di piacere provocano una risposta del parasimpatico, con la conseguenza che il capotribù si sente invaso da un gran senso di sicurezza e di pace. … 


L'intuizione è così fulminante da parergli una rivelazione; l'esperienza gli sembra reale in maniera vivida e tangibile. In quel momento gli opposti ”vita e “morte” hanno cessato di essere in irreparabile conflitto e sono stati risolti a livello mitico. Ora il capo vede chiaramente la verità assoluta delle cose: gli spiriti continuano a vivere. Egli pensa di aver scoperto una verità fondamentale, di aver avuto ben più di una semplice idea: la sente infatti come una convinzione arrivata dal di dentro, dai recessi più intimi della mente.2

In questa ottica credo di poter affermare che i miti possono anche essere considerati come “placebo” ad alto valore curativo della psiche umana, prodotti dai meccanismi neuronali del cervello per proteggere e conservare la vita dell'individuo dalle angosce dell'esistenza. Quando le soluzioni offerte vengono condivise con altre persone che le trovano efficaci e significative, nascono i “miti” personali e sociali come forme culturali di adattamento alla realtà.

A che e a chi serve mettere sul piedistallo la strana creatura che siamo? 

Ecco  una delle menti scientifiche più aperte che ho trovato, Lynn Margulis: "... Per avere una visione completa, i sistemi d'informazione umani soltanto ora hanno cominciato ad avvicinarsi agli antichi sistemi batterici che hanno scambiato unità di informazione come fa una rete di calcolatori, con una memoria che si è accumulata nel corso di miliardi di anni di continua attività. Quando ci si sposta da una visione dei microbi puramente medica a una visione che li interpreti come nostri antenati, come gli “anziani” del pianeta, allora anche le emozioni cambiano, dalla paura e dall'avversione al rispetto e al timore riverente. Molto prima che noi uomini cominciassimo ad evolverci, i batteri avevano inventato la fermentazione, la forma di motore rotatorio a protoni, la respirazione basata sullo zolfo, la fotosintesi, e la fissazione dell'azoto. Essi non sono soltanto esseri con un marcato comportamento sociale, ma si comportano come una forma di democrazia a livello mondiale, decentralizzata. Le loro cellule rimangono fondamentalmente separate, ma possono connettersi e scambiare geni con organismi appartenenti anche estremamente diversi. Il rendersi conto che anche i singoli individui umani rimangono fondamentalmente separati, pur potendo contattare altri individui molto diversi e scambiare con loro informazioni, può voler dire fare un passo verso l'antica saggezza del microcosmo." (L. Margulis, D. Sagan, Microcosmo, cit. pp. 95-96).


Paolo Bonacchi

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